LEONE D’AMBROSIO, LA STANZA D’IPPOCRATE
di Cora Craus –
Leone D’Ambrosio, il più internazionale dei poeti pontini, nella sua ultima raccolta di poesie “La Stanza D’Ippocrate” ( Ed. G.Laterza, Bari, 2016 – pag. 88 – € 15) si è ispirato, come recita il titolo, al grande padre della medicina, il primo medico “laico” della storia. Sul nome di Ippocrate e sul suo più celebre testo “Il giuramento” comincia, ancora oggi, la vita professionale dei medici.
“La stanza d’Ippocrate” raccoglie versi dedicati a ricordi e a grandi personaggi della letteratura, che il poeta ha conosciuto e dei quali è stato amico, come Stanislao Nievo, Natalia Ginzburg, Maria Luisa Spaziani, Yves Bonnefoy, Philippe Jaccottet. A personaggi del mondo della fede, come Giovanni Paolo II, papa Wojtyla. Persone, incontri umani importanti per Leone D’Ambrosio, per il suo spazio interiore, per la scintilla poetica.
Il libro è impreziosito dalle prefazioni di Leone Piccioni, e di Maria Benedetta Cerro e in copertina riporta le figure di Ippocrate e Galeno, un particolare tratto dall’affresco della cripta del Duomo di Anagni.
Scrive, nella prefazione, il critico letterario Leone Piccioni, allievo e amico di Giuseppe Ungaretti: “La stanza d’Ippocrate di Leone D’Ambrosio ci regala la raccolta di una poesia limpida e chiara, patetica e familiare, forse con qualche reminiscenza pascoliana filtrata attraverso le esperienze dei maggiori poeti della seconda metà del secolo scorso. Alcune poesie sono dedicate al padre, alla madre (al poeta mi accomuna questo affetto) alla casa, al Sud: una ricorda De Libero, una Cardarelli e molto gentilmente anche a me, ed una che più mi ha toccato per Giovanni Paolo II papa Wojtyla. E in questa poesia c’è, dunque, amore, dolore: c’è la speranza”.
Risuonano profonde le parole della poetessa Maria Benedetta Cerro: “Il sentimento dell’irripetibile, dell’insufficienza e, in qualche modo, dell’irreparabile genera versi essenziali e lapidari, tanto più limpidi e incisivi, quanto più profondamente originati dalla radice del dolore. Ciò che è indicibile trova compimento nel verso, nella folgorazione che fissa per sempre il momento che trasforma il macigno nella leggerezza della musica e del canto”.
Chi è, il poeta pontino, Leone D’Ambrosio?
Leone D’Ambrosio è ricercatore in italianistica presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata, ha pubblicato diversi libri di poesie e di critica letteraria in Italia, Francia, Venezuela, Spagna, Romania, Stati Uniti. I suoi testi sono stati tradotti anche in tedesco, portoghese, polacco e in russo da Evgenij Solonovich, si sono occupati di lui i maggiori critici italiani e stranieri e ha ricevuto importanti premi in Italia e all’estero.
L’autore, in una “nota a margine”, così presenta questa sua raccolta poetica: “Se nelle civiltà antiche la prima forma di medicina era teurgica, perché si pensava che la malattia fosse causata da certe divinità, più tardi, invece, il pensiero d’Ippocrate rappresentò un cambiamento determinante nel considerare naturali le sue cause e non divine in quanto antagonismo di vita e di morte. Spesso i luoghi della malattia sono dimore di guarigione o di lutto; altre volte la stanza di un nosocomio diventa agorà di meditazione, di conoscenza, d’incontro. Allora, come nella visione greca della sofferenza, questi luoghi sono da considerare un vero e proprio spazio della poiesis intesa come l’agire riflessivo in cui l’ascolto e l’attenzione alle storie convengono a una comprensione della malattia e del dolore, della vita e della morte.”