La magia del bianco/nero nei paesaggi di Adams. Ce ne parla Ernesto De Angelis
di Emanuela Federici –
Oggi parliamo di uno dei più celebri fotografi del landscape. Famoso per aver portato a livelli eccelsi l’estetica del bianconero, Ansel Adams è ispiratore e teorico dell’altrettanto noto Sistema Zonale e autore di tre libri fondamentali nella fotografia: Il negativo, La stampa e La fotocamera.
Di origine statunitense, ha dedicato la sua intera vita alla natura, catturandone i dettagli più emozionanti ed esaltando l’emozione unica del wilderness (la natura incontaminata), anche attraverso la sua attività di ambientalista. Nel 1932, insieme a professionisti come Edward Weston, Sonya Noskowiak e Imogen Cunningham, fonda il gruppo f/64 (nella macchina fotografica f/64 è l’apertura più piccola del diaframma, che permette di ottenere una profondità di campo molto ampia e quindi una nitidezza migliore in tutti i piani dell’immagine), mettendo in luce l’importanza di trasferire in pellicola l’emozione che si prova di fronte al grandioso spettacolo della natura.
Abbiamo chiesto, quindi, a Ernesto De Angelis di parlarci di lui, come sempre attraverso le sue immagini.
“Parlare di lui potrebbe sembrare fin troppo facile, visto che personalmente lo classifico come colui che ha donato alla fotografia un carattere anche scientifico, oltre che artistico, con uno stile unico nel costruire immagini di paesaggio, tuttora imitatissime nello stile e nel carattere. La grande capacità di composizione e la ricerca sfrenata di tecnica fino all’inverosimile, hanno fatto di questo fotografo il più studiato nelle scuole di fotografia di tutto il mondo. Io stesso, quando anticipo ai miei allievi i criteri dei suoi sistemi per ottenere delle esposizioni perfette, sono costretto a spiegare gli stessi concetti più volte, data la complessità degli argomenti.
Le due immagini che oggi commenteremo descrivono perfettamente il carattere tecnico artistico di Adams, e per far comprendere meglio come lui affrontava il suo lavoro ne affiancherò una terza.
Nella prima, quella delle dune di sabbia, notiamo un carattere prettamente grafico: lo spazio non è volume, ma una immagine compressa, con un classico “tutto a fuoco” che caratterizza la quasi totalità delle immagini di Adams. La foto è stata scattata con un obiettivo grandangolare, il che si intuisce per le dimensioni delle creste della sabbia che divengono molto più piccole man mano che salgono verso l’alto (se avesse usato un teleobiettivo le dimensioni sarebbero grossomodo rimaste le stesse su tutti i piani dell’immagine); il diaframma è molto chiuso, come ho lasciato intuire sopra, per avere la massima profondità di campo. Da notare come riesce a usare il cielo solo come cornice grafica in testa all’immagine, essendo privo, come si può vedere, di nuvole che lui trovava sempre molto interessanti, tali da essere spesso i soggetti stessi delle sue fotografie.
Il secondo particolare che fa di questa foto un autentico capolavoro è la righetta bianca che separa il cielo dalle dune di tonalità grigio scuro, che è sabbia mossa dal vento. Senza questa riga le dune e il cielo non avrebbero avuto la stessa forza e probabilmente l’autore sarebbe stato costretto ad usare un filtro diverso da quello usato, per permettere lo stacco tra cielo e dune. Anche l’argomento dei filtri meriterebbe uno spazio enorme, visto che con l’applicazione di essi, soprattutto nel bianco/nero, le fotografie possono assumere dei connotati completamente mutati.
Come avete notato ho parlato di filtro che Adams ha usato nella foto: è probabile che fosse un arancio o un rosso per permettere al cielo di risultare così scuro, visto che, in parole povere, il filtro di tonalità calda scurisce i toni freddi e schiarisce quelli caldi; le dune sotto il cielo sono un pochino in ombra ed è per questo motivo che risultano più scure.
Il grande merito dell’autore però, sta nella capacità di visualizzazione dell’immagine in questione, in relazione alla conoscenza profonda della materia, e lo dimostra il fatto che utilizza lo spazio del foglio di carta come lo farebbe un grafico, concedendo alle righe scure uno spazio molto ridotto, lasciando invece la maggior parte di esso alle dune di tono più chiaro.
Della seconda foto, quella in cui è rappresenta la chiesa, vorrei far notare anche in questo caso, la perfetta visualizzazione della scena, dove il fotografo immagina quasi con esattezza il risultato finale: Adams in questo caso, ha diviso il fotogramma diagonalmente in due parti, la parte sotto il muro scalettato e quella sopra. Il sole è alla sinistra dell’immagine ed è questo l’elemento che ha determinato la riuscita di questa splendida foto, poiché Adams ha atteso che la luce che investiva i muri della porta e della chiesa (che sono paralleli) fosse quasi tangente alle pareti stesse, in modo che il bianco non risultasse accecante e quindi illeggibile verso un bianco sicuramente senza dettaglio. L’attesa del sole che risultasse giusto per la parete è la dimostrazione che Adams ha atteso forse un lungo tempo prima di riuscire a trovare le condizioni giuste per lo scatto. Il fotografo non è armato di mezzi, pellicole e filtri, ma di grande capacità di aspettare, molto spesso senza avere poi risultati accettabili.
La luce sopra la scalettatura del muro, poi, è a dir poco geniale, proprio perché permette la divisione di cui sopra.
E’ probabile l’uso di un filtro giallo che disegna un grigio del cielo non troppo marcato, lasciando così la forza dell’immagine ai toni scuri della facciata in secondo piano della chiesa e a quella del muro in primo piano. L’obiettivo che utilizza in questa foto è sicuramente un grandangolo, visto che anche qui c’è la massima profondità di campo e che la scalettatura del tetto della chiesa risulta più piccola di quella del muro in primo piano.
La terza foto è quella in cui è ritratto l’autore sul tetto della sua auto mentre scatta foto con una macchina grande formato. L’ho inserita proprio per far notare l’equipaggiamento che Adams utilizzava e le condizioni a volte precarie in cui era impegnato a catturare i suoi paesaggi.
E’ ovvio che queste immagini siano state scattate con pellicola e stampate magistralmente in camera oscura e faccio notare questo non solo perché, come spesso sento, la pellicola è sicuramente molto più d’effetto del digitale pur avendo meno “effetti” da inserire, ma anche per il fatto che oggi, con il digitale, si tende ad un uso ossessivo del fotoritocco e soprattutto del “HDR”, che altro non è che la drammatizzazione artificiosa della scena. Un po’ come avviene nelle immagini dei videogames. L’uso eccessivo di questo tipo di filtro, non fa altro che standardizzare le immagini, rendendole tutte simili fra loro, datandole quindi. Sono sicuro che un’immagine di grande spessore, non abbia bisogno di aggiunte elettroniche, proprio come quelle di un grande maestro come Ansel Adams“.