Museo delle Navi Romane a Nemi: il trionfo dello Stile Razionalista
di Marina Cozzo –
Si erge, maestoso, sulle sponde del Lago di Nemi, il Museo delle Navi Romane, della cui presenza poco si parla.
Venne edificato nel 1936 per dare ricovero a due estrose, gigantesche e lussuose imbarcazioni dell’Imperatore Caligola (37-41 d.C.), recuperate nelle acque del lago alla fine degli anni ’20: le chiglie servivano da basamento mobile per vere e proprie ville di fattezza marmorea, con colonne, stanze, vasche. Le vacanze dell’incoronato devono essere state davvero suggestive in quelle acque millenarie del lago più bello dei Castelli Romani.
L’edificio era nato, dunque, con una funzione di contenitore di quei ritrovamenti unici: due scafi dalle misure rispettivamente di m. 71,30 x 20 e m. 73 x 24, purtroppo distrutti insieme all’edificio durante un incendio nel 1944.
Infatti, poco prima dell’entrata delle truppe americane a Roma, la struttura museale fu devastata da un incendio e questo provocò la perdita di tutti i relitti e della documentazione scientifica esposta. Scamparono alle fiamme alcuni reperti che nell’agosto del 1943 erano stati trasferiti nei magazzini del Museo Nazionale Romano.
Riaperto nel 1953, il Museo venne nuovamente chiuso nel 1962 e infine definitivamente riaperto nel 1988.
Nel nuovo allestimento, l’ala sinistra è dedicata alle navi, di cui sono esposti alcuni materiali, come la ricostruzione del tetto con tegole di bronzo, due ancore, il rivestimento della ruota di prua, alcune attrezzerie di bordo originali o ricostruite (una noria, una pompa a stantuffo, un bozzello, una piattaforma su cuscinetti a sfera).
Delle navi, andate completamente distrutte, resta qualche frammento, ma sono stati realizzati i modelli in scala 1:5.
L’ala destra è dedicata al territorio dei Colli Albani; una sezione pre e protostorica espone materiali litici, reperti della media età del bronzo (XVI sec. a.C.) e dell’età del ferro (XI-VIII sec. a.C.), tra cui alcuni oggetti ceramici e macine in pietra provenienti dal villaggio palafitticolo “delle macine” rinvenuto sulle rive del Lago di Castel Gandolfo, corredi da necropoli di Ciampino, Colonna, Rocca di Papa, Lariano.
Una sezione è dedicata al popolamento del territorio albano in età repubblicana e imperiale, con particolare riguardo ai luoghi di culto; vi sono esposti materiali votivi provenienti da Velletri (S. Clemente) e dal Santuario di Diana a Nemi, tra cui i materiali provenienti dalla Collezione Ruspoli di Nemi.
Un tratto di basolato romano inglobato nel Museo (il clivus Virbii che da Ariccia conduceva al Santuario di Diana) separa quest’area da quella riservata alle mostre e alle esposizioni temporanee.
Attualmente ospita materiali ceramici provenienti dalle stipi votive di Satricum, Campoverde (Latina) e Ardea, a testimonianza, inoltre della vastità di una stirpe che ha dominato l’Italia.
All’esterno del Museo è visibile il profilo ligneo della prima nave, che fa parte di un progetto di ricostruzione dello scafo.
Ma oltre ai reperti storici di grandissimo interesse, la cosa che più attrae è proprio la struttura del Museo: in pieno stile Razionalista dell’epoca esso è illuminato a giorno dal sole, che entra amabile e gioioso dalle immense vetrate che caratterizzano le pareti.
Incastonato tra la lussureggiante vegetazione secolare della località castellana che incensa tutta l’aria attorno di muschio e pino, esso a male appena si intravede lungo la strada che costeggia il bacino, ma è una realtà culturale che va sostenuta con una frequentazione nutrita di turisti e studiosi di un grande periodo storico della nazione, quello degli imperatori romani.
Infatti, Caligola, al secolo Gaio Giulio Cesare Germanico, fu il terzo imperatore romano, appartenente alla dinastia giulio-claudia. Nacque ad Anzio il 31 agosto 12 e morì a Roma il 24 gennaio 41.
Le fonti su questo imperatore sono poche e probabilmente faziose, Caligola è arrivato a noi noto per essere stato un despota stravagante e depravato.
Ma l’imperatore era molto popolare fra i romani, seppur avverso alla classe sociale e al ceto dal quale provenivano gli storiografi.
Si trattava certamente di un personaggio discusso, curiosa è la storia relativa al suo nome: Caligola che deriva da “piccola caliga”, la calzatura dei legionari.
Caligola era il terzo genito di Agrippina Maggiore e Germanico.
Dopo la morte di Tiberio, Caligola salì al potere con l’appoggio di tutti: Senato, esercito e popolo. Le ragioni di questa approvazione furono l’età, la popolarità del padre, l’infanzia vissuta negli accampamenti tra l’esercito e la parentela sia con Augusto che con Marco Antonio.
Si narra, tra le stravaganze imperiali che Caligola nominò come senatore il proprio cavallo Incitatus nel Senato di Roma, tale gesto fu visto come una pazzia ma il suo decreto di nomina esprimeva una non certo sottile critica verso la classe senatoria.
L’imperatore disprezzava il Senato e nominando la sua bestia voleva evidenziare come l’organo avrebbe potuto essere arricchito dal suo amato animale.
I suoi comportamenti, provocarono scontenti e Caligola fu assassinato in una congiura di pretoriani guidati da due tribuni nel 41. Insieme a lui persero la vita la moglie e la figlia.
Studi recenti hanno motivato la pazzia di Caligola e di altri imperatori con il saturnismo: una intossicazione da piombo causata da un’antica usanza romana di bere il vino leggermente addolcito dopo essere stato depositato per un certo periodo in otri di piombo.
Sarà stato per il saturnismo, sarà stata per la follia, ma certo è che, a vedere i prospetti di come dovevano essere le due imbarcazioni, Caligola la vita sapeva godersela.