“In pista? Seguo solo le emozioni”. ED intervista Elisa Finotti, pilota di rally delle nostre parti.
Intervista a Elisa Finotti, pilota pontina di rally.
di Emanuela Federici
“Se senti l’auto perfettamente sotto controllo, significa che non stai andando abbastanza forte”. Così Colin McRae (pilota britannico e campione del mondo nel ’95) spiegava cosa significa stare in un’auto e percorrere un tracciato. L’adrenalina che sale, gli pneumatici che aderiscono alla strada, l’impazienza dei motori accesi, l’irrazionalità del piede destro contro la razionalità di quello sinistro. Ed è proprio questo che ritroviamo negli occhi emozionati di Elisa Finotti, trentenne pilota delle nostre terre. Mi accoglie nella sua casa, insieme alla sua splendida famiglia, ai suoi quattro cani e alle tre tartarughe e mi racconta perché ama in modo così incondizionato uno degli sport, a mio avviso, più maschili che si possano immaginare. Il rally.
“Credo di non saper individuare con certezza un inizio per questa mia passione. Il rally è sempre stato parte della mia vita. Seguivo mio padre già da piccola nelle sue trasferte. Anche lui era un pilota e mi portava con sé”. Un DNA ereditato “all’ennesima potenza” e fomentato da una vita trascorsa nell’ambiente. Sempre pronta a seguire il padre, passava il tempo a scrutare il suo navigatore (un co-pilota che affianca il guidatore durante la fase di ricognizione e durante la gara, controllando i tempi e il rispetto delle varie fasi). “Lui correva insieme ad un suo amico e io me ne stavo sul sedile posteriore ad osservarlo, a seguirlo”. Prendeva nota di tutto, finché anche lei fu in grado di affiancare suo padre. “La prima volta che gli feci da navigatore correvamo in un Rally Sprint. Mi fece fare i tre giri di prova, controllando le mie reazioni, e poi mi disse: «Ok, ho visto che non hai paura. Ora iniziamo ad andare forte!». Da quel momento riuscì a godersi anche lui la gara. Avevo 18 anni all’epoca ed è stata un’emozione grandissima”.
Un interesse che la porta a non avere limiti, ad osare e a mettersi sempre alla prova. Perché lei senza correre non sa stare. Non sa resistere. “Mi corro sotto”, dice scherzando. E io le credo. Perché si vede dalla luce nei suoi occhi. Dall’entusiasmo che la invade quando mi descrive anche i dettagli più insignificanti. Anche se – confessa – senza l’appoggio dei genitori, della sorella Silvia e del fidanzato non ce l’avrebbe fatta.
Le chiedo di raccontarmi questo sport, da profana quale sono, di farmi capire le fasi, le categorie… Insomma tutto. Sono troppo curiosa. “Quelle di rally sono gare di regolarità, sostanzialmente. Sono organizzate su strade pubbliche, solitamente in montagna e si basano sul rispetto di tempi e regole. Ed è in questo che ci aiuta il navigatore. Il mio è Michela Bertelloni, una ragazza di Viareggio. Sono 8 anni che corriamo insieme e devo dire che non ho mai raggiunto con altri navigatori la sintonia che ho con lei”. A parte quella volta che ad affiancarla c’era il suo fidanzato Giuseppe. Chiaro! Perché il navigatore è una figura fondamentale. Devi poterti fidare al cento per cento!
A questo punto voglio saperne di più: “Sì, ma come si inizia il percorso per diventare piloti?”. Lei sorride. “Beh, sicuramente bisogna avere la patente! Quindi è d’obbligo aver compiuto i 18 anni, anche per diventare navigatori! Si deve fare un corso teorico e cercare un buon preparatore, un meccanico specializzato per queste tipologie di gare che prepara la vettura e la segue sui campi di gara, durante le assistenze. Io non potevo averne uno migliore, mio padre”. E sorride di nuovo! “Bisogna sapersi sporcare le mani… Letteralmente! E bisogna affrontare l’ambiente con un certo distacco, perché la rivalità è tanta, soprattutto con gli uomini, che non sono mai felici di arrivare in classifica dopo una donna”. Un mondo concentrato molto sulla figura del pilota-uomo, soprattutto nell’ambito degli sponsor, sempre diffidenti nell’investire su una figura femminile. “Questo è comunque uno sport individuale, squadre non esistono. Ci sei tu, la macchina, la strada e il cronometro. Queste sono le cose su cui concentrarsi”.
E allora decido di chiudere con una frase di Michèle Mouton, una pilota degli anni ’80 che nel mondo del rally non ha bisogno di presentazioni: “Je crois que les gens sont beaucoup trop égoïstes au volant. Ce n’est pas la personne qui roule doucement qui me gêne, mais plutôt celle qui vous bloquera et ne vous laissera passer sous aucun prétexte”. Che più di una confessione, suona quasi un principio di vita.