29 luglio 1883: nasceva Mussolini che da maestro elementare divenne il Duce.
di Marina Cozzo –
Era il 29 luglio del 1883 quando, tra le colline romagnole, a Dovia di Predappio, in casa di Alessandro Mussolini la moglie Rosa dava alla luce Benito Amilcare Andrea.
Assennato negli studi, grazie anche alla mamma insegnante che lo aveva indirizzato verso la formazione culturale, aveva anche ereditato l’indole paterna di esponente dinamico del socialismo facinoroso.
Conseguito il diploma di maestro elementare, nell’austero collegio Carducci di Forlimpoli, cominciava la sua carriera politica con l’iscrizione al Partito Socialista Italiano (PSI) a soli 17 anni, nel 1900.
Dopo qualche anno, si recò in Svizzera per entrare a far parte degli ambienti rivoluzionari europei e, in quella occasione, ebbe modo di accostarsi alle letture dei principali filosofi politici del secolo XIX, tra cui Marx, Proudhon, e Nietzsche.
In quegli ambienti conobbe i rivoluzionari Giacinto Menotti Serrati, futuro comunista, e Alexandra Balabanov, futura esponente del PSDI, legandosi particolarmente con entrambi, affascinato dal loro spirito rivoluzionario.
Come il padre, era un antimilitarista e anticlericale, così venne cacciato dalla Svizzera per il suo attivismo esasperato per rientrare il Italia nel 1904.
In patria si avvalse di una amnistia ai renitenti alla leva, che lo indusse ad arruolarsi nel reggimento di bersaglieri di stanza a Verona.
Si avviava, per un breve periodo, anche all’insegnamento a Tolmezzo ed Oneglia (1908), dove, tra l’altro collaborò al periodico socialista “La lima”, dopodiché tornò nel suo paese natio.
A Dovia, proseguiva la sua attività politica in maniera serrata, specie a favore dei braccianti (cosa che gli costò 12 giorni di carcere, per aver aderito ad un loro sciopero).
A soli 25 anni, nel 1909, gli fu affidata la carica di Segretario della Camera del Lavoro di Trento, allora austriaca, e la direzione del quotidiano “L’avventura del lavoratore”.
Lo scontro con gli ambienti moderati e Cattolici fu immediato e, dopo sei mesi di frenetica attività propagandistica, veniva espulso anche dall’Impero Asburgico, tra le accese proteste dei socialisti trentini suscitando una vasta eco in tutta la sinistra massimalista italiana.
Tornato in Italia, il suo cuore conobbe quello della sua allieva Rachele Guidi, classe 1890, timida e umile, ma a modo e sorridente.
La loro passione travolgente li volle insieme anche more uxorio.
Da questa unione, scandalosa per l’epoca, nacquero Vittorio nel 1915, Bruno nel 1918, Romano nel 1927 e Anna Maria nel 1929.
Poi, nel 1915 sarebbe stato celebrato il matrimonio civile mentre nel 1925 quello religioso, finalmente, come la buona creanza voleva.
Intanto, la dirigenza socialista di Forlì gli offrì la direzione del settimanale “Lotta di classe” e lo nominò segretario del movimento politico.
Al termine del congresso socialista a Milano dell’ottobre 1910, ancora dominato dai riformisti, Mussolini pensò di scuotere la minoranza massimalista, anche a rischio di spaccare il partito, provocando l’uscita dal PSI della federazione socialista forlivese, ma rimase solo nell’iniziativa.
Sopraggiunta la guerra in Libia, Mussolini appariva come l’uomo più adatto a impersonare il rinnovamento ideale e politico del partito. Condannato a un anno di reclusione, poi ridotto a cinque mesi e mezzo, per le manifestazioni organizzate in Romagna contro la guerra in Africa, divenne protagonista del congresso di Reggio Emilia (1912), ottenendo l’espulsione dal partito della corrente più riformista rappresentata da Bonomi e Bissolati.
Assunta la direzione del quotidiano del partito “L’Avanti!” nello stesso anno, diede al socialismo Italiano una connotazione rivoluzionaria e partecipativa.
Siamo, ormai allo scoppio del primo conflitto mondiale.
Mussolini si pose inizialmente sulla posizione ufficiale del partito, la neutralità. Ma, nel giro di pochi mesi, nel futuro Duce maturò il convincimento che l’opposizione alla guerra avrebbe finito per trascinare il PSI ad un ruolo sterile e marginale, mentre sarebbe stato opportuno sfruttare l’occasione per riportare le masse sulla via del rinnovamento rivoluzionario.
Interpretando il pensiero di buona parte della corrente massimalista e delle masse trascinate nell’esperienza della “settimana rossa” del giugno 1914, si dimetteva dalla direzione de “L’Avanti”, cercando di portare il partito verso le sue posizioni, senza, tuttavia, riuscirvi.
Decise, dunque, di fondare un suo giornale “Il Popolo d’Italia”, foglio socialista e nazionalista, radicalmente schierato su posizioni interventiste a fianco dell’Intesa.
Il giornale riscosse subito un clamoroso successo, ma a seguito di queste prese di posizione opposte alle direttive del partito, il 25 novembre 1914, Mussolini fu espulso dal PSI.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, nell’agosto 1915, il richiamo alle armi era naturale. Ma due anni dopo venne ferito gravemente durante un’esercitazione.
Così, poté tornare a casa e alla guida del suo giornale, attraverso le colonne del quale ruppe gli ultimi legami con la vecchia matrice socialista, prospettando l’attuazione di una società nuova capace di soddisfare le esigenze economiche di tutti i ceti, risolvendo la lotta di classe e superando quindi da un lato il liberalismo e dall’altro il bolscevismo.
Eravamo alla nascita dell’Idea Fascista.
Il 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro a Milano, con un memorabile discorso, Mussolini, fondò il primo nucleo di quello che sarebbe divenuto il Partito Nazionale Fascista, i Fasci di Combattimento, raccogliendo intorno a sé uomini e idee della sinistra radicale e della destra nazionalista più accesa.
L’iniziativa, dopo qualche tempo di torpore, raccolse sempre più consensi e il Fascismo iniziò a divenire una forza organizzata in funzione antisindacale e antisocialista. Mussolini otteneva sempre più adesioni da tutti i settori agrari e industriali, dai contadini agli operai, dagli imprenditori ai proprietari terrieri, senza distinzione di ceto.
Ormai forte e organizzato, Mussolini decise la trasformazione in Partito Nazionale Fascista, nel novembre 1921, per avviarsi alla Rivoluzione, che si concretizzò il 28 ottobre 1922, con la storica Marcia su Roma.
Il Re Vittorio Emanuele III di Savoia lo convocò al Quirinale per formare il nuovo Governo Fascista di unità nazionale, costituito da un gabinetto di larga coalizione anche con i liberali e i popolari.
Nel 1924, il Governo si consolidò con la vittoria nelle elezioni.
Ormai stavano crescendo il potere di Mussolini e del partito, ma il misterioso assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (10 giugno 1924) mandò in crisi entrambi.
Così il futuro duce si assunse le responsabilità politiche dell’accaduto, per mantenere intatta la fiducia del Re e del Popolo.
Con l’emarginazione delle altre forze politiche, il PNF raggiunse il ruolo di partito unico del Regno e Mussolini, cui il Re conferì ufficialmente, accanto al titolo di Presidente del Consiglio, quello di Duce del Fascismo e Capo del Governo.
E da qui che il duce, appunto, iniziò ad intraprendere una enorme quantità di iniziative che portarono l’Italia ad incrementare i propri indici di benessere e di potenza in modo eccelso.
La sua popolarità crebbe vertiginosamente e ormai egli era il restauratore delle sorti d’Italia, il Capo per eccellenza.
Il Regime riscosse successi, innumerevoli successi, come: la risoluzione della questione romana attraverso il Concordato (Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929), la bonifica di intere zone d’Italia e la costruzione dal nulla di un’intera nuova Provincia (Littoria, 1932), il trionfo nella Guerra d’Etiopia con il ritorno dell’Impero sui colli fatali di Roma (9 Maggio 1936), la soluzione dei problemi igienico-sanitari del Paese, il rinnovamento dell’ordine legislativo e giudiziario, l’istituzione di un nuovo ed eccellente sistema corporativo e sindacale, la promozione dei valori etici, sociali, religiosi e della Romanità del Popolo d’Italia, il prestigio e la forza della Patria all’estero (da ricordare l’occupazione momentanea di Corfù contro l’ingerenza greca nel 1923 e l’annessione definitiva di Fiume all’Italia, 1924), e così via.
Ma, con il passare del tempo, iniziò a emergere sempre più la parte retorica e demagogica della dittatura personale, che offuscò tutte le benemerenze del Fascismo e del suo Capo.
Isolato dalle “demoplutocrazie occidentali” durante l’impresa d’Etiopia (inique sanzioni), si avvicinò sempre più alla Germania nazionalsocialista, pur avendola più volte duramente attaccata per la politica razziale ed espansionistica (annessione dell’Austria, 1938).
Ottenne un successo importante con il Patto di Monaco dello stesso 1938, che sembrava sortire il mantenimento della pace mondiale.
Ormai, però, era visto in modo ostile dalle demoplutocrazie e subendo il fascino della dittatura hitleriana, giunse alla promozione ed alla promulgazione di inaspettate leggi razziali di marca antisemita (1938), le quali gettarono per sempre ombra sul suo operato.
Con la firma di un vincolante Patto d’Acciaio (1939), si assistette alla definitiva alleanza internazionale con la Germania.
Con lo scoppio della II Guerra Mondiale, il Duce, d’accordo col Re e con gli altri Enti supremi del Regno, decise inizialmente per la non-belligeranza, ma, entusiasmato dai repentini successi iniziali di Hitler e pressato da parte della dirigenza del Regime e dell’opinione pubblica, entrò in guerra a fianco dell’alleato tedesco il 10 giugno 1940.
Questo nonostante il Duce fosse impreparato militarmente e sconsigliato dai più esperti esponenti militari del Regime, nell’illusione di un rapido e facile trionfo.
Ed fu questo l’inizio della fine: nel giro di tre anni gli effimeri successi iniziali si trasformarono in sonore sconfitte.
L’Impero era già perso nel 1941 e in Grecia le operazioni fallirono miseramente.
Dopo l’invasione anglo-americana della Sicilia e uno dei suoi ultimi colloqui con Hitler, nel 19 luglio 1943, veniva sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo, dopo una settimana, e posto agli arresti dal sovrano che tentava di salvare la propria testa dalle responsabilità condivise con il fascismo per vent’anni.
Trasferito a Ponza, poi alla Maddalena e infine a Campo Imperatore sul Gran Sasso, il 12 settembre venne liberato dai paracadutisti tedeschi e portato prima a Vienna e poi in Germania, dove il 15 settembre proclamò, sotto la pressione/protezione di Hitler, la costituzione del Partito Fascista Repubblicano e della Repubblica Sociale Italiana, di cui diventava Presidente della Repubblica e Capo di Governo, in quasi totale dipendenza da Hitler.
La residenza del governo venne posta a Salò, nel bresciano.
Era un tentativo così di ricuperare, almeno parzialmente, le idealità originaria del Fascismo.
Ormai stanco, indebolito, isolato e privato di ogni credibilità, Mussolini assistette alla tragica disfatta dell’Asse. Quando gli ultimi reparti tedeschi furono sconfitti, propose ai capi partigiani un passaggio ufficiale di poteri, per evitare le violenze alla fine della guerra, ma venne respinto.
Andò a rifugiarsi in Svizzera, insieme all’amante Claretta Petacci, si diresse verso la Valtellina con quel che era rimasto del Governo e guardato a vista da una colonna tedesca.
Ma fu riconosciuto a Dongo dai partigiani e assassinato il 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, nel Comasco, da agenti ancora sconosciuti, per poi farne scempio nell’orgia di Piazzale Loreto.
Le spoglie mortali del Duce ebbero infine pace con la sepoltura nella natia Predappio avvenuta soltanto nel 1957.