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Femminicidi a Latina: tre assassini, tre date, sei donne uccise

 

 di Cora Craus –

Donne unite da legami familiari quali madre e figlia, o, donne che, semplicemente, per un insondabile disegno del destino hanno incrociato la stessa mano omicida. E’ avvenuto per Cinzia e Gabriella, per Norina ed Elena, per Francesca e Martina. Tre date: otto aprile 2004, ventuno dicembre 2013, sei aprile 2016; tre luoghi, Sabaudia, Cisterna di Latina, Latina; tre assassini per sei femminicidi.

Cosa è davvero il destino? Ce lo siamo chiesto tante volte e in tanti modi di fronte a terribili notizie di cronaca nera. La risposta, spesso è stata una vertigine di spaesamento, d’impotenza. Con questo persistente stato d’animo ripercorriamo le ultime storie di femminicidi a Latina.

A Sabaudia, città giardino, la città più amata da Alberto Moravia, indimenticabile autore de “La Ciociara”; la città delle Dune dove ricordano una Dacia Maraini gentile e sorridente sempre in prima linea, sempre dalla parte delle donne; in questo così felice impastato di umanità e letteratura alle 16 del pomeriggio dell’otto aprile due femminicidi tolsero a tutti il respiro. Madre e figlia, Gabriella Capozzi e Cinzia Pacini furono spietatamente uccise dal marito di Cinzia per “gelosia”: otto colpi di pistola, triste ripetersi di tristi coincidenze di numeri, mettono fine alla vita di due donne. Cinzia ce la aveva fatta. Si era separata da oltre un anno da quell’uomo possessivo, geloso e violento. Con il supporto della sua famiglia voleva assicurare serenità alle sue bambine che avevano: la prima sei anni e la seconda appena 18 mesi. Cinzia, ragazza che tanto aveva creduto nell’amore, nel matrimonio come luogo di rispetto, nella maternità. Già, la maternità, legame inestirpabile nel bene e nel male, Gabriella Capozzi fu fermata da tre colpi di pistola nel disperato tentativo di salvare la figlia di esserne scudo.

Il folle omicida, di Norina Londaro, buttò la pistola nel canale Mussolini, luogo reso famoso dall’ omonimo romanzo, vincitore del Premio Strega 2010, di Antonio Pennacchi. Quel luogo che porta ancora il nome del fondatore del Partito Fascista e artefice della Bonifica Pontina. Chi sa se Norina Londaro aveva letto il romanzo che parla della sua gente, della sua terra? Di sicuro è morta nel suo letto tra le quattro e le cinque del mattino di quel 21 dicembre del 2013 per mano del figlio, forse, dissapori, richieste inconsulte di soldi, o solo un grande “marenero” dentro l’anima di quel figlio che per ogni madre rappresenta la speranza, la fede nel futuro. Una follia che ha continuato nel suo dissennato percorso fino ad uccidere ancora. Vittima della stessa mortale mano è Elena Tudosa una donna di 44 anni, in quel momento felice per l’arrivo del figlio che avrebbe trascorso le vacanze di Natale con lei. La sua “colpa” essere un inquilina, dell’incolpevole famiglia dell’omicida.

Risuonano l’eco delle parole di Concita De Gregorio nel suo libro “Malamore – Esercizi di resistenza al dolore” (ed.Mondadori – pag. 168) “Le migliaia, milioni di donne che vivono ogni giorno sul crinale di un baratro e che, anziché sottrarsi quando possono, ci passeggiano in equilibrio: un numero da circo straordinario, questo di cercare di addomesticare la violenza – la violenza degli uomini …”

Femminicidi multipli, commessi dalla stessa mano, una realtà che ogni volta rimanda un eco diverso ma con una nota sempre uguale: donne uccise da uomini. Francesca di Grazia e sua figlia Martina Incocciati furono uccise, accoltellate, dal marito di Francesca a Borgo Flora vicino Cisterna di Latina, dopo un’ennesima lite per soldi, per reciproca insofferenza e chi sa che altro ancora e Martina appena dicianovenne accoltellata e lasciata in una pozza di sangue perché era stata testimone del delitto.

Violenza, alienazione dei tempi moderni? No, sono tanti, infiniti, i casi di “femminicidi” nella storia; a qualche km e a qualche secolo da noi, a Roma l’imperatore Nerone, racconta la storia, uccise la madre Agrippina, la moglie Ottavia e con efferata brutalità uccise con un calcio al ventre Poppea perché “sformata” dal figlio che portava in grembo.

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista