Chi legge cosa. Consigli di lettura di personaggi pontini… Giorgio Maulucci
Di Cora Craus –
La “nuova spagnola” o la “nuova peste” di Milano, sono alcuni dei molti appellativi con cui viene citata la pandemia provocata dal Coronavirus e tutti evocanti grandi tragedie umani e morali. In un rincorrersi senza soluzione di continuità di informazioni, notizie, citazioni e riflessioni non mancano riferimenti alla letteratura. C’è un romanzo che echeggia quale emblema delle traversie dei nostri giorni, “I Promessi sposi” di Alessandro Manzoni. Il consiglio di lettura di oggi ci viene suggerito da uno dei nostri più autorevoli e significativi intellettuali: Giorgio Maulucci.
Al nostro ospite, come a tutti gli altri, abbiamo posto la rituale domanda del perché di questa scelta, di questa lettura?
“In un momento in cui mi sembra esserci una pletora di pseudo scrittori, ho avvertito il bisogno di rileggere un grande classico come i “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni – ci confida Giorgio Maulucci – che per me ha lo stesso intenso valore, la stessa importanza simbolica dell’Inno di Mameli. Ho riletto stamattina il Cap. IV (Fra Cristoforo) al termine del quale non avrei mai creduto di ritrovarmi commosso, ai limiti del singhiozzo, e nello stesso tempo confortato dall’immenso, umanissimo “soccorso”. In questo particolare momento storico mi sento d’invitare i giovani e i meno giovani a rileggere i grandi classici, gli autori e i libri che hanno fatto la scuola della grande letteratura, facendo mia una celebre citazione di Giuseppe Verdi: “Torniamo all’antico e sarà un progresso”. La lettura è spazio, è libertà, è benessere profondo. Tra i consigli aggiungerei una scrittrice del Novecento, Elsa Morante con “Menzogna e sortilegio”, il suo primo romanzo e uno degli esordi più inaspettati della letteratura italiana di metà XX secolo. Infine tra i “i grandi minori” suggerirei uno scrittore (premio Strega), giornalista, poeta e sceneggiatore italiano, Corrado Alvaro, che ci ha lasciato pagine di grande intensità”.
La nostra speranza è che dalle parole di questa rubrica arrivi a chi ci legge lo spirito vero che la anima, ci auguriamo che da un consiglio di lettura si crei un ponte immaginario che consenta alla comunità cittadina di arginare “l’isolamento sociale”. I nostri ospiti portano con sé un valore aggiunto perché vivono e lavorano nel territorio e attraverso la loro arte e scrittura abbiamo avuto modo di conoscerli e approfondirli, dai concerti alle rappresentazioni teatrali, dalle produzioni cinematografiche alle presentazioni dei libri. Di sicuro con l’ospite di oggi hanno interagito generazioni di studenti pontini.
Chi è Giorgio Maulucci, l’ospite di oggi della nostra rubrica, che con grande gentilezza ha accettato di condividere con noi, con voi lettrici/ri, una scelta così personale qual è la lettura?
Raccontare in poche righe chi è Giorgio Maulucci è un’impresa ardua, e allora partiamo dal suo ultimo impegno, il libro-diario “Confesso di aver insegnato – Diario di un viandante tra scuola, cinema e teatro”, appena pubblicato dalla casa editrice Atlantide. Di Maulucci, già preside del Liceo Classico “Dante Alighieri” che sotto la sua direzione divenne la culla della cultura di Latina, sono rimasti memorabili le attività teatrali e gli ospiti che è riuscito a far incontrare ai suoi allievi e alla cittadinanza, uno per tutti il premio Nobel Dario Fo. Maulucci fu anche l’artefice della fondazione del Liceo Pedagogico “A. Manzoni e, insieme ad altri insegnanti, del Liceo Scientifico “Ettore Majorana”, da sempre considerato il liceo “progressista” del capoluogo. Laureato in Lettere Classiche all’Università “La Sapienza” di Roma con Ettore Paratore, il nome di Giorgio Maulucci è legato non soltanto alla scuola ma anche al teatro, al cinema, alla politica… in futuro, se vorrà donarci qualche altro consiglio di lettura, sapremo cogliere l’occasione di approfondire il “Chi è”.
Il libro: “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni (ed. Mondadori – pag.864)
Un brano tratto dal quarto capitolo: “Il sole non era ancor tutto apparso sull’orizzonte, quando il padre Cristoforo uscì da suo convento di Pescarenico, per salire alla casetta dov’era aspettato. È Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e reti tese ad asciugare. Il convento era situato (e la fabbrica ne sussiste tuttavia) al di fuori, e in faccia all’entrata della terra, con di mezzo la strada che da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il sole s’alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità de’ monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendii, e nella valle. Un venticello d’autunno, staccando da’ rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall’albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne’ campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. La scena era lieta; ma ogni figura d’uomo che vi apparisse, rattristava lo sguardo e il pensiero. Ogni tanto, s’incontravano mendichi laceri e macilenti, o invecchiati nel mestiere, o spinti allora dalla necessità a tendere la mano. Passavano zitti accanto al padre Cristoforo, lo guardavano pietosamente, e, benché non avessero nulla a sperar da lui, giacché un cappuccino non toccava mai moneta, gli facevano un inchino di ringraziamento, per l’elemosina che avevan ricevuta, o che andavano a cercare al convento. Lo spettacolo de’ lavoratori sparsi ne’ campi, aveva qualcosa d’ancor più doloroso. Alcuni andavan gettando le loro semente, rade, con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa che troppo gli preme; altri spingevano la vanga come a stento, e rovesciavano svogliatamente la zolla. La fanciulla scarna, tenendo per la corda al pascolo la vaccherella magra stecchita, guardava innanzi, e si chinava in fretta, a rubarle, per cibo della famiglia, qualche erba, di cui la fame aveva insegnato che anche gli uomini potevan vivere. Questi spettacoli accrescevano, a ogni passo, la mestizia del frate, il quale camminava già col tristo presentimento in cuore, d’andar a sentire qualche sciagura.
-Ma perché si prendeva tanto pensiero di Lucia? E perché, al primo avviso, s’era mosso con tanta sollecitudine, come a una chiamata del padre provinciale? E chi era questo padre Cristoforo? – Bisogna soddisfare a tutte queste domande”