Autrici pontine. Libri di ieri, libri di oggi: “Una tazza di tiglio”
Di Cora Craus –
Libri di autrici pontine. Quest’oggi, care lettrici/tori condivido con voi un ricordo di una poetessa per cui ho un grande affetto e tantissima ammirazione, con lei ho avuto l’onore di scrivere, nei stessi giornali, per almeno tre lustri. “Una tazza di tiglio” di Maria Armellino.
“ E come fra due vecchi vecchi sposi/ smemorati degli anni ormai trascorsi/come d’un sogno mai vissuto. / una tazza di tiglio/”. Sono versi della delicata lirica “Una tazza di Tiglio” composizione che dà il titolo all’ultima raccolta poetica della poetessa pontina d’adozione Maria Armellino. Dopo aver letto e “assaporato” le liriche del libro, abbiamo lasciato che la nostra mente vagasse sulla scia delle emozioni, a cominciare dal titolo, “Una tazza di tiglio – Poesie d’amore e di nostalgia”, evocativo di tepore familiare, di focolare: al contempo fragile guscio e indistruttibile corazza di vita.
Noi crediamo che la poetessa abbia voluto racchiudere, sotto l’ombra del mito della pianta, la sua raccolta di poesie perché il tiglio è la pianta che i Greci elessero emblema della femminilità, pianta sacra ad Afrodite dea dell’amore. Ma più ancora perché essa è simbolo dell’Amore Coniugale vero protagonista di questa raccolta poetica. Tra le delicate liriche del libro rivive in filograna la romantica leggenda di Filemone e Bauci, dove il marito si trasforma in quercia, tipico albero maschile, mentre la moglie diventa un dolce tiglio. Nella composizione “Tra noi” dedicata al marito Angelo la leggenda prende forma e torna a essere realtà quotidiana e vede la stessa autrice diventarne protagonista “E certo tu/ nel sonno/avvertivi il tepore/ del mio corpo accostato/ e la mia offerta silenziosa, /paga del tuo contatto./ Così la notte ci avvolgeva/ quieta/ in un nido caldo/.”
Abbiamo definito Maria Armellino come pontina d’adozione ciò è vero nella fredda biografia dei fatti, non nel suo fondersi nell’amore per questa terra che Maria “canta” nella lirica “Notturno alla Sorresca”, dedicata all’ antica abbazia sulla sponda del lago di Sabaudia.
Realizziamo, in un improvviso lampo, come la poetessa sembra aver metabolizzato fino in fondo la lezione di John Keats: “La poesia […] dovrebbe suonare al lettore come l’espressione dei suoi pensieri più alti, e sembrare quasi un ricordo.”. Lezione assimilata al punto da poterla condividere e farne dono con naturalezza al lettore; rendendolo partecipe, senza ermetismo di sorta, dei suoi più intimi sentimenti.
Sentimenti che pur nella loro unicità accomuna tante donne e anche tanti uomini: un oscillare continuo tra un quieto, profondo affetto radicato negli anni e l’attanagliante nostalgia di una chimera d’amore. Amore che solo nella dimensione del sogno, dice la poetessa, con un impalpabile grigio velo di tristezza, può trovare la sua osmotica e totalizzante realizzazione.
Le liriche di Maria Armellino svelano le piccole sorprese, vere perle di linfa vitale dell’anima, racchiuse in quello che sembra essere lo scorrere ripetitivo e prevedibile della vita di tutti i giorni, dove la tristezza si confonde con la noia. E il dolore con la velleità. In “Una tazza di tiglio” si respirano due atmosfere, diametralmente opposte, pur legate dallo stesso filo d’oro dell’“attesa dell’Amore”. Se nelle prime sezioni “Stelle cadenti” e “Verso l’alba” si respira una pacificata accettazione del sentimento dell’amore fuori dal sogno, dalle troppo romantiche illusioni “Felicità è/ essere se stessi/ compiutamente/ senza veli./ Solo una volta l’ho vissuta/ l’ho vissuta con te/ per brevi giorni./ E sempre l’ho rimpianta/ come un sogno/. Nell’ultima parte gli “Inediti giovanili” si respira tutto l’ardore, la fede ma anche la paura, l’incertezza della vita, della gioiosa attesa di un dio, un mito chiamato Amore.