Una donna, una storia. Ursula Hirschmann, la sua Heimat: un “territorio dell’anima”
Di Cora Craus –
“Heimat” è una parola tedesca vuol dire patria; ed quella che la giovane e bellissima ragazza berlinese, Ursula Hirschmann, avrebbe cercato molti anni dopo il confino di Ventotene. Un’amarissima esperienza a cui la condussero la sua innata volontà di lotta contro l’ingiustizia sociale e la “colpa” di essere ebrea.
Ma andiamo per ordine: Ursula Hirschmann al confino di Ventotene vi giunse con il marito, il filosofo Eugenio Colorni, un’intellettuale, stimato da Benedetto Croce e ben visto dall’allora “l’allineato” mondo della cultura italiana. Ben visto finché, improvvisamente, all’indomani del promulgamento delle leggi razziali “scoprirono” che era un ebreo… e, un socialista ben deciso a non rinnegare le sue idee. Un’ideale dal prezzo altissimo: la sua vita.
Ursula, fu una ragazza animata da un coraggio leggendario, uno spirito rivoluzionario, che fin dall’ adolescenza la portò ad abbracciare la causa della classe operaia, in una Berlino dominata dall’orrore del Terzo Reich.
La sua lotta politica l’avrebbe portata in giro per l’Europa. Trasformandola nell “europea errante” come lei stessa si definisce in un libro autobiografico, scritto molti anni dopo, e che raccoglie tutti i suoi ricordi, la sua vita ed il suo sentirsi “ una signora italiana”.
Ed è proprio con questa nuova e fiera identità, che aveva liberamente e appassionatamente scelto per amore, con cui si è identificata sino alla fine.
Un’ amore fresco gioioso pieno di speranze per il suo giovane filosofo italiano ma dal tragico e devastante epilogo.
Un amore maturo fatto di comunanza di idee, di un sogno mai abbandonato, di “un’Europa libera, unita”, quello che la unì ad Altiero Spinelli.
Tutto ciò, Ursula Hirschamann, lo descrive in toccanti pagine narrative. Ma, è proprio questa realtà d’italiana che rende più acuta, dolorosa la sua antica percezione di sentirsi “senza patria”. Così – infatti, racconta – che si sentì davanti alle piazze in macerie della sua Berlino divisa, tradita. Senza patria si sente, Ursula, ricordando gli amici perduti, gli affetti lacerati dalla morte. E, quando, quasi, fosse un pellegrinaggio tornò a visitare la sua città natale, “l’Heimat”, che con tanta ostinazione cercava, scoprì essere solo un “territorio dell’anima”: la sua terra, la sua amata Berlino travolta dalla peggiore follia collettiva le aveva imposto l’esilio: un distacco che pesò sulla giovane, colta e sensibile donna più di un viscerale rifiuto materno.
Oggi, in Europa, quell’ “Europa Libera Unita”, che prese il via da Ventotene e di cui Ursula Hirschmann fu una protagonista, ha cancellato l’orrore delle leggi razziali eppure davanti a me tanti ritagli di giornali: il processo Irving, lo scrittore che nega la Shoah, l’atroce morte di un giovane ebreo, perché ebreo, nella banlieue, la degradata ed esplosiva periferia parigina, i vergognosi striscioni antisemiti nei nostri stadi … risvegliano lugubri incubi.
Risuonano, quasi consolatorie, le parole di Friederich Engels: “l’antisemitismo non è altro che una reazione di strati sociali medievali [..] contro la società moderna”.