ED editoriale

Il piacere di leggere. “Lo straniero” di Albert Camus

Di Cora Craus –

Uno stile, laconico, asciutto, composto di brevi periodi danno forza all’estraniamento esistenziale, all’essere straniero di e con se stesso che rappresenta il perno centrale dove si avvolge e si dipana “Lo straniero di Albert Camus. Nel romanzo, diviso in due parti, vi sono accennate due culture: quella autoctona araba e quella francese entrambe solo sfiorate perché, crediamo, che all’autore interessi, attraverso il suo protagonista, descrivere, l’incapacità di condividere l’emozioni, l’empatia e far incarnare la solitudine dell’umanità che non trova risposte, non riesce a costruire “ponti”.

Camus dà forza a questa idea costruendo una barriera, una “parete” tra il lettore e i personaggi: la parete è formata dall’estraniamento del protagonista da un lato e dall’altro la spasmodica attesa del lettore di capire cosa stia succedendo e cosa succederà in quella voragine sempre più vuota di sentimenti ed empatia, mentre incalza e si perpetua il soliloquio, la descrizione degli accadimenti dando al romanzo quasi un’unica dimensionalità. Tutto ciò, al lettore, appare chiaro alla fine della lettura, quando non c’è più spazio per l’attesa.

 “Lo straniero”, è quasi l’emblema del colonialismo visto da due precisi punti di vista: quello sociale e quello interiore. Meursault, il protagonista, è un francese che vive in Algeria che, all’epoca della storia è colonia francese. Quindi uno straniero in terra straniera, un estraneo a quel mondo. Ma anche un estraneo, uno straniero per il popolo francese, una dicotomia che si riscontra in quasi tutti i migranti di seconda generazione come lo è il protagonista. Se ci spostiamo dalla realtà fattuale a quella irreale, mentale vi troviamo una perfetta analogia: Meursault è uno straniero alla vita, allo scorrere della sua esistenza. E cosa più pregnante egli è estraneo all’affettività, ai sentimenti, alle emozioni. Tutto questo diventa palpabile fin dal tragico incipit: “Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti”. Questo non dice nulla: è stato forse ieri.” Si respira l’assenza di dolore del protagonista mentre dà vita ad un monologo interiore dove il soggetto è se stesso, il suo disagio, la sua fatica.

 Un mondo piatto avvolge anche tutti gli altri personaggi in una coltre grigio in contrapposizione ad una luce troppo accecante, troppo sfolgorante nel piccolo obitorio dello ospizio di Marengo. Ancora luce accecante e un caldo insopportabile accompagna il funerale della signora Meursault sotto il cielo, sotto il sole algerino capace di sciogliere l’asfalto. Il caldo, il sole come si vedrà nello srotolarsi della storia non è un semplice dettaglio climatico.

 Il rientro a casa e l’immediato incontro con la sua amante Maria Cardona, un’ex collega, i bagni di mare, il cinema e la notte insieme quasi come se nulla fosse successo, nulla fosse cambiato, una soffocante indifferenza. Un senso di claustrofobia attanaglia il lettore.

Un eterno “non so” è la locuzione chiave con cui il protagonista risponde a qualunque quesito dell’esistenza, la sua continua non scelta e la vita accettata come accadimento esterno, estraneo a lui. Pochi i personaggi che ruotano intorno al protagonista i più centrali sono i due inquilini del palazzo: Solimano, un vecchio con un cane che maltratta continuamente eppure è l’unico vero affetto che gli rimane e ciò diventa chiarissimo quando racconta, con disperazione, la fuga del cane a Mersault. Raimondo Syntes, un uomo violento e dalla dubbia moralità che rappresenta anche il fil rouge del destino di Meursault quello che, sia pure involontariamente, lo spingerà a sparare: “quattro colpi secchi che battevo sulla porta della sventura”.

La seconda parte del romanzo si svolge quasi tutto all’interno della prigione. Il protagonista, che incarna pienamente la dimensione dell’assurdo, narra lo shock della perdita di libertà, delle piccole abitudini quotidiane, ricorda l’unica visita di Maria che segna anche l’inizio del suo “sentirsi” davvero in prigione mentre l’omicidio compiuto sembra un dettaglio sullo sfondo.

 Al processo sfilano tutti i conoscenti, le persone incontrate, frequentate da Meursault; vengono rievocati ricordi e comportamenti del protagonista e quello che era un vivere anaffettivo, estraniante quasi sospeso, improvvisamente, diventa la prova inconfondibile della sua colpevolezza, del suo essere criminale.

 E, la “colpa” di una sigaretta fumata, di un caffelatte preso durante le ore di veglia, nell’attesa del funerale di sua madre, diventano più centrali dell’omicidio. In questa transizione si esprime al massimo il dramma dell’assurdo così pienamente narrato da Camus.

 Dopo la condanna a morte e il rifiuto ad una qualsiasi consolazione religiosa, in attesa dell’esecuzione, Meursault si lascia andare a riflessioni sulla vita, la sua “inutilità”, il rammarico, forse l’emozione più autentica che abbia provato, per gli anni che non saranno vissuti per quello spicchio di cielo con le sue stelle che non gli apparterranno più. E da qui parte la sua catarsi: “…mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio”.  Odio, un sentimento estremo, un emozione forte per rientrare ad essere collegati con l’umanità, col essere uomo tra gli uomini.

“Lo straniero”, fu pubblicato nel 1942 dalla casa editrice Gallimard riscuotendo un immediato successo. Ancora oggi è considerato la punta di diamante della trilogia dell’assurdo di Camus gli altri due testi sono il saggio “Il mito di Sisifo” e l’opera teatrale “Caligola”. Il romanzo appartiene al tardo modernismo movimento che attraversò gli anni ’40 fino agli ’70 del Novecento e rappresenta la dimensione epica della coscienza contemporanea e la sua deriva all’autodisperazione.

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista