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Cisterna Rugby Kiwis: piccole (e grandi) rugbiste crescono

di Marina Bassano –

Se non avete mai assistito a un terzo tempo dopo un incontro di rugby dovete farlo prima o poi nella vita. E’ un’esperienza non paragonabile con altre e senza averla vissuta in prima persona non se ne comprende a pieno l’essenza. E’ un grande ritrovo, una festa, dove tutti danno una mano e collaborano, anche i bambini.

La società Rugby Cisterna “Kiwis” nasce dallo scioglimento della Academy Cisterna Rugby. La società fa capo al presidente Alessandro Barbierato e al vice presidente e direttore sportivo Antonio Chiarucci.
E’ proprio quest’ultimo che ci parla a fondo della società, dei bambini e degli obiettivi:

“La vecchia società si occupava principalmente di portare avanti la serie C, era meno presente sulle giovanili. La società dopo lo scioglimento della prima squadra si è disfatta e con altre persone ci siamo messi d’accordo nel proseguire in una realtà diversa. Ci siamo fatti promotori di questa società di mini rugby, dall’under 6 all’under 14. Fino all’under 12 bambini e bambine giocano insieme, senza distinzione di genere; l’under 14 è la sfida di quest’anno, un gradino più in alto sia tecnicamente che in termini di impegno. L’obiettivo è portare la cultura del rugby a Cisterna, facendo promozione nelle scuole, organizzando incontri nello spirito sociale del rugby, collaborando ad esempio con il centro La Tartaruga che segue famiglie con disagio sociale. Un altro obiettivo è far crescere queste categorie tramite la conoscenza nelle scuole e aumentare i numeri, attualmente contiamo almeno 60 bambini. Ogni anno vorremmo aggiungere una categoria, portando i bambini a fare una prima squadra, avendo modo di seguirli fin dal principio. Non si può improvvisare niente nel rugby, devi creare esperienza, in uno sport da contatto che va assimilato con regole precise. I genitori non possono interferire con i lavori dei tecnici e della società; hanno un posto a parte dove vedere le partite, a distanza di sicurezza. Anche perché è un momento che vogliamo resti del bambino e solo suo, da condividere con allenatore e compagni.

Cosa fondamentale per noi è che i tecnici diano qualità. Alessandro Bascetta con il quale è nato tutto, partendo dalla volontà di scommettere sul futuro, vanta 10 anni esperienza di rugby giovanile giocato e allenato a Bergamo. Oltre a lui abbiamo un ragazzo laureato in psicomotricità dell’età evolutiva, in grado di proporre esercizi che servono per aumentare lo schema motorio di base, la percezione del proprio corpo nello spazio. Tutte le persone coinvolte nella società hanno un ruolo diretto: abbiamo una mamma dottoressa e un’altra psicologa a disposizione per seguire casi particolari o problematici.

La categoria amatoriale è nata per gioco quando i genitori hanno chiesto di provare a giocare, e pian piano si è aperta anche all’esterno; si sono aggiunti ex giocatori della Cisterna Academy, fino ad arrivare a 30-35 persone, che stanno disputando una sorta di campionato a 5-6 squadre. D’altronde quella delle squadre old è una tradizione nel rugby, tradizione che incarna il passaggio di valori dai grandi ai piccoli. Questo gruppo rappresenta l’anima goliardica dello sport e sono persone che in più aiutano a tutto tondo la società in quello che serve. Il concetto di una grande famiglia del rugby è un messaggio universale, in tutto il mondo è così.

I bambini testimoniano che il rugby è l’attività al naturale che farebbero se fossero da soli in un prato, cercando il contatto con la palla e con il compagno. In un periodo in cui si sta perdendo il contatto con l’aria aperta, portarli in un posto dove si possono ancora infangare e ruzzolare è un valore in più. Questo discorso vale anche per le bambine che sono spesso più attente e tecnicamente migliori dei coetanei, astute e agguerrite”.

In questa grande famiglia spicca la storia di Alessandra Cinelli, unica giocatrice donna della squadra amatoriale e con due bambine nelle giovanili, per le statistiche caso più unico che raro con 3 rugbiste in una famiglia sola:

“Ho iniziato perché il mio fidanzato giocava a rugby e ha trascinato anche me a 18 anni. Mi allenavo insieme ai ragazzi perché mancavano i numeri per formare una squadra femminile. Dopo qualche tempo io e un’altra ragazza che eravamo sempre assidue e presenti, siamo andate ad allenarci con la squadra di serie A del Villa Pamphili a Roma, nel girone molto impegnativo del centro sud, con trasferte anche lontane. Dopo aver vinto il girone siamo andate a giocare la finale con Treviso a Bologna. Ho continuato per un po’ con loro, anche facendoci carico di trasferte lunghe a spese nostre, fino a quando non è stato più compatibile con il lavoro. Quando hai una passione infinita che ti spinge, anche i sacrifici hanno senso, sono più sopportabili.

Quello che mi piace del rugby è che è uno sport fuori dagli schemi, mi piace allenarmi con i ragazzi, cosa che spinge al massimo i miei limiti. Poter reggere quasi i loro stessi ritmi è per me motivo di grande orgoglio. C’è ancora questo senso comune del rugby come sport prettamente maschile, ma con due bambine che lo fanno posso assicurare che non è così. E’ uno sport che ti insegna a rispettare le regole, le compagne di squadra, sia quelle in campo che in panchina; se non c’è una buona organizzazione e un buon dialogo non si va da nessuna parte, non è uno sport per singoli, è un avanzare e difendere insieme. Le mie bambine hanno praticato tanti sport prima di fare rugby: danza, nuoto, fino a quando l’anno scorso hanno provato e non hanno più voluto smettere”.

Mentre chiacchieriamo le bambine tornano dal campo dove hanno appena giocato e dove si sono fatte fotografare da Emanuela, vengono ad abbracciare la mamma, e hanno un sorriso che va da guancia a guancia. Matilde di 6 e Maria Sofia di 7 anni dicono che sporcarsi e stare fuori all’aria aperta è quello che amano maggiormente:

“Per loro è principalmente una questione di gioco, fanno tanti percorsi, finalizzati sempre alle dinamiche del rugby. L’importante è insegnare subito come cadere, è tutto lì, per non farsi male; la paura nasce anche dalla mancata conoscenza delle tecniche giuste. D’estate la società organizza anche la colonia che contribuisce a creare l’unità che caratterizza questo sport; si svolge all’insegna della disciplina ma non della rigidità, che è quello che serve nella vita. A casa faccio lavatrici a gogò, è dura perché le bambine si allenano in orari diversi e poi mi alleno io, quindi è un ritmo impegnativo da sostenere, ma vedere la loro felicità ripaga”.

Alessandra è l’unica donna nel gruppo amatoriale old, ma questo sembra non essere mai stato un problema:

All’inizio per stare in un contesto con soli uomini c’è bisogno di un periodo di conoscenza, Alessandro stesso mi ha detto: “Vediamo come reagiscono gli altri”, ed effettivamente non c’è stato nessun tipo di problema, mi considerano un loro compagno a tutti gli effetti.
Anche mio marito all’inizio aveva qualche dubbio per il contesto prettamente maschile, ma una volta conosciute le persone e conosciuto l’ambiente, sono scomparsi. E’ molto contento per le bambine, ha visto con mano la differenza tra gli altri sport e questo e vede la passione che ci mettono e vede che sono felici quando vengono qui. La cosa fondamentale è non aver paura e mettersi alla prova, mettersi nelle mani dell’allenatore ed avere fiducia.

Vedere il rispetto dei compagni è la soddisfazione più grande, essendo donna vale doppio tra tanti uomini. L’ambiente familiare e amichevole e il senso di collaborazione è qualcosa di cui non si fa esperienza in altri campi. Lo spogliatoio addobbato e pitturato ad hoc dai genitori insieme, la palestra costruita sono degli esempi lampanti. Per me è innanzitutto un modo di uscire per qualche ora dalla realtà di madre, di donna, di lavoratrice, di moglie. E’ un momento mio e della squadra, un momento per scaricarsi e liberarsi, in cui sono me stessa e mi ricarico per ripartire”.

Contatti: www.cisternarugby.it, su Facebook: Cisterna Rugby “Kiwis”, e-mail: info@cisternarugby.it

Servizio fotografico: Emanuela Federici

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Marina Bassano

Marina Bassano

Redattrice