Cleto Nencini, il primo farmacista di Aprilia
di Marina Cozzo –
Aveva gli occhi limpidi e chiari come il cielo di primavera in collina e la minuta corporatura era rafforzata dalla possenza del suo sorriso.
Amava la sua Aprilia, quella città che lo aveva accolto giovane farmacista, con la sua famigliola e la sua compagna di tutta la vita, Rina.
Al paese, Palazzuolo Sul Senio, in provincia di Firenze, si era laureato in chimica, ma poi, valutando la poca richiesta di chimici per l’epoca, dovette riaprire i libri per essere in grado di una realtà lavorativa, divenendo farmacista.
Così, invitato dal fratello che lavorava per l’O.N.C., in assegnazione provvisoria raggiunge quello che era uno dei primi frutti del durissimo lavoro di bonifica dell’Agro Pontino: Aprilia.
Apre la sua bottega di farmacista in Via dei Lauri, e tra boccette, bilancini e garze, si affranca nella primordiale comunità apriliana. Il figlio Pietro ama subito il piccolo paese, dove si integra magnificamente, con gli altri pochi bimbetti.
Ma un giorno, tra la fine di gennaio e i primi di febbraio del 1944, quello che era un ameno paesino in mezzo a vastissimi appezzamenti di verdeggiante campagna collinare diviene un cumulo di macerie: Aprilia rasa al suolo.
I civili erano stati già evacuati e rientrarono di corsa nella loro Aprilia, quando il fronte delle battaglie si era spostato solo di qualche chilometro. Così fece anche Cleto Nencini. Mentre la sua famiglia, moglie figlio Pietro e nascituro Paolo, andavano a Pontinia dove era tutto decisamente più tranquillo.
Lo scenario che si trovò a dovere guardare era inimmaginabile e terribilmente indimenticabile: non più una casa, non più la chiesa, niente di niente era “sopravvissuto” ai giorni di bombardamenti.
Comunque, Cleto, che poteva benissimo “ma chi me lo fa fare a rimanere qui”, armato delle sue armi più forti, tenacia, abnegazione, misericordia, senso di responsabilità e, sopratutto, presenza di spirito, si rimbocca le maniche del suo camice bianco da farmacista, ricreando una bottega con baracche di legno prese a Pratica di Mare dal Comune.
Quelle baracche, se potessero parlare oggi, chissà quante cose potrebbero narrare di quella gente! Quelle baracche, per parecchi, rappresentavano non solo la bottega, ma anche la casa, il tetto sotto cui dormire, senza riscaldamenti, naturalmente, senza acqua corrente, senza nulla se non la speranza di rivoltare il destino, domarlo e prendersi gioco di esso.
Cleto non era un farmacista comune, tanto meno come lo possiamo conoscere ora come lavoro: un tempo i farmacisti facevano tante cose e lui, forse tra le più dure: lasciava a bottega le sue boccette medicinali e aiutava l’unico medico presente a soccorrere gli uomini che “bonificavano” Aprilia dalle bombe, cauterizzando arterie di monconi di gamba e così via, con i pochi strumenti e farmaci che aveva a disposizione. Un giorno L’ufficio delle Imposte gli chiese, per missiva, la restituzione di dell’incremento delle vendite dei farmaci e lui ebbe un moto di riso e pensò “ma quali farmaci?”, al che rispose “se volete, qui in bottega, ho un fucile e 4 bombe a mano”.
Il problema della scarsità dei farmaci era il suo cruccio più grande e l’antibiotico, che veniva distribuito dal Governo a stille, doveva essere gestito tra tutti i malati e non basta mai. E gli stessi bisognosi di cure erano anche quelli che realmente pativano la fame, ma se non guarivano non potevano nemmeno lavorare. Ma il nostro farmacista non poteva tirarsi indietro ad una richiesta di cure e così per la maggior parte dei casi, dava i farmaci a credito… sapendo che chissà se e quando sarebbero stati pagati.
Poi, poco alla volta, Aprilia comincia a riprendere una forma, i cumuli di macerie riprendono vita in case e negozi e la prima farmacia della città finalmente ha un locale fatto di mura, finestre e mobilio.
Intanto gli anni passavano e il Dr. Nencini rimaneva un caposaldo della comunità e tanto faceva per essa, finanche, insieme al Dr. Meccia, fondare il C.A.I. ad Aprilia, nel 1962.
Eh sì! Egli era un appassionato di montagna e nel circolo degli alpini inserì molti giovani con cui fare gite sulla neve o scalate montagne in estate.
L’altra sua grande passione era rappresentata dall’atletica leggera, per la quale portò un grande contributo anche con il coinvolgimento di giovani atleti apriliani.
La luce di quell’azzurro degli occhi ancora inonda Aprilia, come facesse parte della volta di cielo della città.
Una città memore e riconoscente per l’abnegazione, senso di responsabilità e di “dovere”, ma, sopratutto, di amore.