“Serenità. La base per una corretta alimentazione”.
Intervista alla dott.ssa Claudia Fantasia, dietista di Latina –
di Emanuela Federici –
Nervosismo, insicurezza, stress, depressione, insoddisfazione, isolamento sociale… Sono solo alcuni dei tratti che sempre più spesso riscontriamo nei nostri figli. Sintomi di un disturbo che ha radici profonde, in ambito psicologico e sociale.
“I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) sono condizioni a volte estremamente complesse”, ci spiega Claudia Fantasia, dietista che opera nella nostra provincia. “Comprendono quadri clinici che si esprimono genericamente attraverso un’alterazione del fisiologico comportamento alimentare, che può andare dalla smodata assunzione di enormi quantità di cibo della Bulimia Nervosa (BN) fino alla più rigida restrizione calorica dell’Anoressia Nervosa (AN)”.
Ed è proprio nel sesso femminile che si sviluppano maggiormente tali patologie, in particolare nell’adolescenza o comunque nella giovane età.
La dott.ssa Fantasia ci racconta dei molti casi che ha trattato nella provincia di Latina e ci informa che l’età di esordio del disturbo può collocarsi tra i 10 e i 30 anni “anche se ormai non sono di raro riscontro forme di insorgenza tardiva, dopo i 30-40 anni, o manifestazioni già nella prima infanzia”.
Dei dati che spaventano, perché rientrano nella vita di tutti noi, nelle nostre case, e si uniscono allo stress quotidiano che troppo spesso ci rende miopi di fronte a piccoli disturbi, quasi impercettibili.
Essenziale è, quindi, conoscere bene questi due disturbi per poterli identificare già ai primi stadi. Se la BN causa squilibri idro-elettrolitici con ripercussioni sul cavo orale e sul sistema cardiocircolatorio, l’AN invece è molto più complessa e temibile.
“L’anoressia nervosa può essere definita come una condizione di cronica malnutrizione proteico energetica e si differenzia in AN di tipo restrittivo e AN di tipo bulimico. Nel primo caso il quadro clinico è caratterizzato da una grave denutrizione con persistenza delle funzioni vitali, sostenute da un equilibrio fisiologico e biologico delicato e precario. Nell’AN di tipo bulimico, invece, allo squilibrio idro-elettrolitico si aggiunge una denutrizione cronica dovuta a vomito autoindotto e all’abuso di lassativi”.
In cosa consiste il trattamento di questi disturbi, anche dal punto di vista nutrizionale?
“I DCA possono essere trattati, anche in base alla gravità, sia in via ambulatoriale che con day hospital o ricovero. Il primo intervento da effettuare è sicuramente quello di rendere partecipi il paziente e i familiari dei rischi con i quali il primo convive quotidianamente. Secondo la mia esperienza, però, è importante un approccio integrato che si avvale del contemporaneo intervento clinico nutrizionale e di quello psichiatrico. A livello nutrizionale si possono seguire molte terapie dietetiche, ma ciò che ritengo fondamentale è il momento del pasto in famiglia. Consiglio sempre ai genitori di viverlo come un momento di condivisione. Bisogna spegnere la televisione e fare in modo che sia un momento di vera unione, dove la vita dei figli e il valore del cibo vengono realmente vissuti. Un’occasione per creare complicità senza costrizioni e forzature, evitando in questo modo che l’alimentazione diventi motivo di ansia o stress”.
Un approccio, il suo, che si estende a tutta la famiglia, nel suo insieme. Proprio perché spesso in questi casi si dà per scontato che le difficoltà maggiori possano riscontrarsi solo nel paziente e nel suo poco impegno nel seguire la terapia del medico. Nella maggior parte dei casi, invece, ciò che rappresenta un problema è un altro.
“Ho lavorato a molti casi nella nostra città, come nel resto della provincia, e devo dire che lo scoglio più grande sono stati i genitori dei pazienti. Sembra assurdo, ma il più delle volte sono proprio loro a non voler ammettere l’esistenza del problema. Non è facile riconoscerne i sintomi, ma è importante consultare subito un medico quando si assiste ad un calo ponderale del peso o un comportamento atipico nei confronti del cibo. Ho assistito a situazioni di negazione del problema da parte dei familiari a livelli imbarazzanti. Addirittura in molti casi si arriva a credere che la patologia sia assurdamente legata alla religione o a delle fatture subite. Anch’io sono un genitore e posso affermare che la cosa migliore che si possa fare sia affrontare il disturbo con degli specialisti, non portando la ragazza da un’esorcista! Bisogna essere forti e pensare al bene dei propri figli, senza vergognarsi di chiedere aiuto, perché è una malattia da non sottovalutare. Ci si convince di conoscere tutto dei propri figli, dando per scontato ciò che pensano di se stessi e della realtà in cui vivono. Penso, invece, che ci si dovrebbe aprire di più con loro, provare a comprendere le loro angosce e le loro emozioni, senza forzature e costrizioni”.
Parole forti le sue. E se davvero ognuno di noi riuscisse a seguirle, probabilmente questo problema non avrebbe modo di esistere.