Autori pontini. “Nome di battaglia Brenta – Storia partigiana di Fortunato Fusi” di Salvatore D’Incertopadre
Di Cora Craus –
Fortunato Fusi è stato un partigiano toscano, per l’esattezza di Poggibonsi in provincia di Siena, congedato con un Diploma D’Onore dal generale Clemente Primieri, Comandante del gruppo di Combattimento Cremona. Salvatore D’Incertopadre ne ha scritto una bella biografia avendo come fonte lo stesso Fortunato Fusi che, all’età di 98 anni, ha sentito la necessità o meglio “l’obbligo morale” di testimoniare quanto sia costata in termine di vittime, dolore, distruzione, diritti civili e morali calpestati dal devastante ventennio fascista e dalla guerra la nascita della Repubblica Italiana e della sua Costituzione. La biografia, come l’Italia, è disseminata di devastazioni, prigionia, esilio e racconti di guerra.
In “Nome di battaglia Brenta – Storia partigiana di Fortunato Fusi” (Ed. Atlantide – pag. 208 – € 15) La narrazione ha uno stile brillante e lineare dove fa capolino uno spirito arguto, un vero match tra l’innata sagacia toscana del protagonista e l’arguzia napoletana dell’autore che rendono di gradevole lettura un così importante documento.
Il lavoro, ha dichiarato in una intervista D’Incertopadre, è stata una certosina ricerca delle “pezze d’appoggio” all’esposizione di Fortunato Fusi. Questa meticolosità trasforma la biografia in un documentato e agile testo storico dove l’autore racconta gli avvenimenti alternandoli a indagini e approfondimenti sui “perché dietro ai fatti”.
Rievocando la storia di Fortunato dalla nascita, Il libro diventa un buon campione per un ritratto socio economico nonché politico della società italiana del Novecento a partire dalla piaga del lavoro minorile considerato normale sia dalle famiglie sia dai datori di lavoro. In questo passaggio si avverte molto la mano del sindacalista, qual è stato Salvatore D’Incertopadre che ha ricoperto per quasi un decennio il ruolo di Segretario generale della CGIL pontina.
Nell’orchestrazione narrativa un importante riferimento è la faticosa vita quotidiana di Giulia Gori, mamma di Fortunato, nella cui figura appare forte la subalternità e la fatica delle donne, nonostante fosse una donna amata e rispettata, condizione che non tutte le donne potevano vantare. Benito Mussolini ampliò questa nefasta situazione quando in un suo discorso affermò: “Nel nostro Stato essa (la donna) non deve contare”. La cappa di povertà che avvolgeva la stragrande maggioranza della società sembra essere la più solida delle istituzioni, insieme agli inenarrabili soprusi subiti per fame da uomini e donne.
La biografia, per sua natura, è un racconto al singolare, ma in questo libro diventa portatrice di una coralità, come una cartina tornasole degli ambienti popolari e borghesi da una parte, dell’arroganza e dell’indifferenza degli ambienti politici dall’altra, che si interessano al popolo solo quando sentono il loro potere a rischio.
Il libro si apre con una data precisa, il 1925 che è anche l’anno di nascita del protagonista Fortunato Fusi. L’autore ci conduce per mano a scoprire la situazione politica italiana del 1925 e descrive attraverso un flashback come si è arrivati al clima politico di quell’anno; una grande attenzione è riservata al tipo di famiglia in cui Fortunato si era trovato a nascere. Le pagine raccontano della mobilitazione socialista, brodo di coltura della famiglia Fusi, contro la guerra in Libia decisa da Giovanni Giolitti nel 1911. Così come vi sono narrati alcuni episodi di resistenza e lotta politica che videro impegnati il papà e lo zio di Fortunato a Poggibonsi, uno dei quali fu il distendersi sul binari insieme ad altre centinaia di persone sensibilizzate dalla locale Camera del Lavoro e dalla Lega delle Cooperative Rosse. Il primo capitolo si chiude con una chicca storica: Benito Mussolini e Pietro Nenni, all’epoca entrambi ferventi socialisti, arrestati e condannati a un anno di carcere per le manifestazioni contro la guerra in Libia e contro l’operato del governo in generale.
Il cuore del libro racconta gli anni del fascismo e della guerra, con tutti gli errori e gli orrori perpetrati e testimoniati, oggi come ieri, dai sessanta milioni di morti della Seconda Guerra Mondiale. Nell’opera D’Incertopadre troviamo anche pagine impregnate di lucido e consapevole coraggio, di resistenza e coerenza politica come nella famiglia Fusi.
Infine, l’autore racchiude nel libro camei di “colore” come la storia di “Pierona” o la “medaglia di Lenin”. Il primo racconta di Caterina Lotti, una socialista sempre presente nelle manifestazioni perfino quando si trovava in stato avanzato di gravidanza, mentre nel secondo vi ho scorto qualcosa di emblematico dell’essenza della famiglia Fusi: il coraggio di Lorenzo, papà di Fortunato, di far realizzare in pieno fascismo, quindi a rischio della vita, una medaglia che attestasse la sua adesione alla nascita del Partito Comunista Italiano dopo il burrascoso congresso socialista di Livorno del 1921. Lascito politico raccolto senza sé e senza ma, diremmo oggi, dai figli Ferdinando e Fortunato. Sia Lorenzo che Ferdinando pagarono con la prigione la loro scelta politica. Mentre il Partigiano Fortunato Fusi ebbe nella Brigata Spartaco Lavagnini il suo battesimo del fuoco.