Se questa è una donna. Ravensbruk e lo sterminio nazista al femminile
di Marina Bassano –
92 mila vittime tra il 1939 e il 1945 a Ravensbrϋk, capitale dello sterminio al femminile durante la follia nazista, progettato da Heinrich Himmler a circa 80 chilometri da Berlino. Il campo di concentramento è il fulcro delle persecuzioni contro le donne, di ogni genere, età, condizione sociale. L’unica cosa che accomunava le prigioniere era essere considerate inutili dal Fuhrer. Le deportate appartenevano solo per il 10% alla razza ebraica, le altre, la maggior parte, appartenevano alle classi emarginate: zingare, lesbiche, testimoni di Geova, dissidenti politiche, prostitute, malate, disabili provenienti da più di 20 nazioni. Costruito per contenere fino a 3000 donne, nel ‘45 quando venne chiuso, ne conteneva 46 mila.
Sara Helm, è una giornalista e scrittrice britannica, reporter del Sunday Times, corrispondente a Gerusalemme e a Bruxelles per l’Indipendent. Riceve il premio British Press Awards come “Special Writer of the year” nell’86. È lei a portare alla luce una storia rimasta a lungo sullo sfondo delle pagine di storia, della memoria e coscienza collettive. Come tanti altri pezzi di storia al femminile che continuano a mietere le loro vittime del sapere.
“If this is a woman. Inside Ravensbrϋk” il titolo del suo libro. Un Primo Levi al femminile, nel titolo e nel contenuto, che riporta testimonianze ottenute difficoltosamente dalle poche superstiti del campo che si basa sulle testimonianze dirette raccolte in giro per il mondo, dalla Polonia alla Francia, a Israele, andando ad intervistare le sopravvissute o i loro figli, visionando lettere, fotografie, documenti.
Dalle parole ancora tremanti delle intervistate vengono fuori le atroci verità: le prigioniere venivano usate come cavie per esperimenti, vivisezionate (principalmente le donne polacche), torturate, seviziate, venivano praticate sterilizzazioni e aborti forzati. Le donne di Ravensbrϋk hanno resistito a tutto, alla fame, al freddo, alla violenza gratuita. Fino alla fine, fino a quando Himmler a guerra ormai persa voleva usarle come merce di scambio per contrattare una pace con gli Alleati. Tanti piccoli atti di eroismo sono contenuti nel libro, nella sopravvivenza stentata alle quotidiane atrocità, che rimandano il lettore di continuamente al pensiero di un male estremo e di un altrettanto estremo coraggio nella ferma resistenza a questo male.
Il libro getta una nuova luce su storie lasciate più o meno volutamente nel dimenticatoio, per uno sterminio di genere sempre meno conosciuto. La difficoltà delle sopravvissute a parlare ha di certo contribuito in parte a questo silenzio, che però ha necessità di essere violato. Solo un’acquisizione consapevole e attinta direttamente dalle fonti come è quella di Sarah Helm, può portare in primo piano fatti di cui si deve parlare e di cui si deve scrivere. Per il passato e anche per il futuro. Perché non si parli di questo solo durante la giornata della memoria.
Questo silenzio è dovuto anche alla profonda vergogna che le superstiti provano nel rivivere mentalmente l’esperienza, provando per assurdo quasi un senso di colpa. Ed è proprio una delle cose che deve far maggiormente riflettere, questa inversione paradossale che questa esperienza porta con sè in modo indelebile: la mortificazione di sé fino allo strato più profondo che esista, che ti fa passare in un lampo da vittima a colpevole. E se c’è una via d’uscita parziale per questa mortificazione è parlare e aprirsi col mondo, spiegare e cercare di far capire.