ED editoriale

Un razzismo perbene e tutta l’erba va nel fascio dell’Isis.

di Alga Madìa –

 

Quei social che consentono a tutti di esprimere le proprie opinioni evidenziano talvolta una celata (ma neanche troppo) intolleranza, che lì su e spesso solo lì su, si riesce a tirar fuori. Disgustose frasi contro intere popolazioni, quel contro a prescindere, stupido, senza costrutto né ragionamento.

I recenti fatti, ormai una triste abitudine sui notiziari, di sbarchi di disperati alla ricerca forse non tanto di un benessere o di un sogno, ma più semplicemente di salvarsi la vita, perché spesso è proprio da lì che scappano quei nostri simili disperati: da guerre e da rischi di morte, da fame, da miseria.

La situazione libica è al collasso, più grave che mai. A Tripoli è guerra civile e non solo, la democrazia che “abbiamo” esportato quattro anni fa in quel bellissimo Paese a metà fra Mediterraneo e Sahara, non deve aver funzionato e, a pensarci meglio, neanche quella che abbiamo esportato in Iraq deve avere funzionato benissimo. Lorenzo Declich già docente all’Università Orientale di Napoli e uno dei massimi studiosi italiani di jihadismo, sostiene che “gli eventi che in queste ore insanguinano il golfo della Sirte erano prevedibili, almeno dallo scoppio della guerra in Libia. E sono l’esito di una catena di responsabilità libiche, arabe e occidentali di cui Gheddafi è l’ultimo cruciale anello“. Declich ricorda che “i jihadisti che oggi in Libia combattono in nome dell’Isis non sono altro che i sopravvissuti del jihadismo storico della Cirenaica, dei combattenti mandati in Iraq a partire dal 2003, di alcuni detenuti della prigione Usa di Guantanamo e di diversi terroristi rimessi in libertà da Gheddafi a partire dal 2009 e fino alla vigilia delle manifestazioni popolari anti-regime del febbraio del 2011”.

L’Isis è la più grave minaccia terroristica al mondo intero, oggi più che mai e, in questo mondo perbene che si difende (?) dai suoi attacchi terroristici, con grande probabilità ci sono anche loro, quelle persone che salgono praticamente nude su malconci barconi e trovano il coraggio di osare, affrontando un viaggio che spesso si trasforma in tragedia. Quei barconi in cui troppe volte vedono queste povere vite, speranzose di una luce nuova, finire per sempre nel più buio degli abissi di quel Mediterraneo che li separa dalla costa della salvezza.

Non c’è posto per loro, è vero. Non c’è lavoro per loro, è vero. Ma non c’è neanche un po’ di pace per loro, è vero anche questo.

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E noi qui, pronti a puntare il dito e, se ce lo avessimo fra le mani, anche un fucile: ma “loro” non sono l’Isis. Gli uomini dell’Isis (Islamic State in Iraq e Syria) secondo la stoltezza corrente si muoverebbero su barconi a rischio inutile della vita, fra miseria e fame, fra sporcizia, puzza e morte?

Ho qualche dubbio.

Disperazione cerca umanità, ma forse a volte la nostra finta cultura cristiana, dimentica che si tratta di esseri umani (“In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me” Matteo 25,45), disperati, rei soltanto di volersi salvare la vita, considerati come tutti quegli italiani perbene che inseguivano il sogno americano, affrontando lunghissimi viaggi sulle peggiori categorie di navi che per settimane e settimane attraversavano l’oceano, peggio si nascondevano nelle stive,  falsificando addirittura i documenti personali. Italiani disperati, ma non erano quelli che oltreoceano ci sono andati a portare la mafia. (A tal proposito consiglio vivamente di leggere “Vita” della nostra conterranea Melania Mazzucco vincitrice il Premio strega nel 2003).

Mafiosi, ci dicevano spesso e purtroppo ancora oggi; in tanti ci considerano truffatori, camorristi, delinquenti.

Io mi offendo, sempre, ogni volta che leggo o sento episodi di questo genere e penso che io, dentro quel fascio non ci voglio stare, sono un’erba diversa. Io.

E penso a quanti fra quei poveri disperati sono, loro malgrado, erba che nel fascio Isis o di criminali o di dediti alla delinquenza  non ci vogliono stare, semplicemente perché non lo sono. Nel dubbio, spariamogli addosso, lasciamoli annegare, non li accogliamo. Magari, per uno di loro, uno su mille, avremmo colto nel segno. Tutto il resto sono numeri.

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