La politica litigiosa. Bruno Tucci la racconta a ED
di Bruno Tucci –
Si litiga in politica? Interrogativo superfluo. Basta guardare un qualsiasi giorno la tv per avere la risposta. I talk-show sembrano fatti apposta per accendere la miccia. I motivi sono i più disparati. Non importa quali. L’essenziale è alzare la voce, farsi sentire: in una parola apparire. Perché se non appari non sei nessuno e finisci nel dimenticatoio. Quindi, l’imperativo categorico è uno ed uno soltanto. Mi chiedo: chi vede ed ascolta è lusingato da tanto clamore, oppure preferirebbe rimarsene tranquillo in poltrona e partecipare (sia pure a distanza) ad un dibattito definiamolo “civile”? Chissà? Probabilmente no, visto che la moda è ormai quella del gran chiasso. Evidentemente coloro che la pensano in maniera diversa sono la minoranza e, come sapete, i numeri contano, specialmente in politica.
C’è accanimento, dunque, non solo alla Camera o al Senato, ma anche nei programmi televisivi. Anzi, soprattutto in quelli, perché l’audience è tanta e non si può perdere un’occasione del genere. Si litiga sui grandi temi politici, ma anche su particolari che la maggior parte della gente ritiene “di poca importanza”. Ci si divide su tutto. Maggioranza ed opposizione, un braccio di ferro continuo. C’è chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. Chi preferisce il gentil sesso o, chi, invece, ne farebbe volentieri a meno. Le “quote rosa”, ricordate? Cioè quel numero minimo di signore che dovrebbero occupare gli scanni di Montecitorio o di Palazzo Madama. In questo il premier Renzi è stato categorico fin dall’inizio: cinquanta e cinquanta, non c’è dubbio. Sempre. Perché non è giusto fare il contrario. Ed in effetti, nel suo governo, le deputate o le senatrici spiccano. Per bellezza ed intelligenza. Insomma, non si tratta di dar retta a quel principio delle “quote rosa” che poteva essere una forzatura a discapito della qualità. E’ giusto, al contrario, dice il premier, ricercare quelle signore che si siano fatte apprezzare nel loro lavoro e possano dare una mano alla crescita del Paese Italia. Giusto e sacrosanto.
Senonchè, qualcuno sperava che la litigiosità sarebbe diminuita una volta che il gentil sesso aveva varcato la soglia del cinquanta per cento. Niente affatto. Probabilmente è un virus che attanaglia chiunque entri a far parte di quel mondo che gravita intorno ai Palazzi romani. “Perché dovremmo essere da meno?”, sostiene una onorevole che preferisce l’anonimato. “Quando riteniamo di aver ragione, portiamo avanti le nostre tesi fino a che non dimostriamo la validità dei nostri discorsi”. Insomma, niente da fare. I battibecchi non sono diminuiti, sono solo cambiati i protagonisti. Anzi, le protagoniste. Guai a chiamare senatore una senatrice o deputato una deputata. O, ancora, un presidente una presidente. La tiritera prosegue anche nelle libere professioni: un’avvocatessa, una dottoressa, una ingegnera. E via di seguito.
Va bene. Meglio non entrare nel merito. Si potrebbe rischiare il linciaggio. Ma i litigi in Parlamento non sono solo politici. Tra i maschi ( e ci scusino le signore) affiora oggi un grande diverbio: con cravatta o senza cravatta in Parlamento? Flash-back di qualche anno quando il sottoscritto frequentava il Palazzo perché cronista politico. Se non avevi la cravatta, era meglio tornare a casa o andarne a comprare una al negozio all’angolo, perché non c’era verso di entrare. Oggi, è lo stesso primo ministro a non portarla ed a presentarsi in sala stampa in maniche di camicia, stile americano. Negli altri Paesi, si va ancora più in là. Il premier greco non la indossa nemmeno nelle visite ufficiali, che so io? Quando deve andare ad un incontro con la Merkel o con Hollande. E’giusto? Sbagliato? E’la moda, si risponde. Però, quando lo chiedo ad un deputato che siede sui banchi di Montecitorio da almeno vent’anni, mi risponde così: Con un sospiro. Come dire: la cravatta è un segno di eleganza. E l’eleganza è come il coraggio (scriveva Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi): chi non ce l’ha non se lo può dare. “Capisce che cosa voglio significare”?