La fantastica complessità delle donne e la teoria dello spezzatino
di Emma B. –
Non so se avete visto il film “L’uomo che amava le donne” di François Truffaut. Io quando lo vidi rimasi perplessa ponendomi delle questioni. Bertrand, il protagonista della storia, vedeva in ogni donna un particolare che la rendeva unica e proprio per questo particolare pensava valesse la pena instaurare una relazione con lei. Quando la curiosità si esauriva la storia terminava.
Mi chiedevo, a differenza di Bertrand, se l’equilibrio consistesse invece nel cercare in ogni uomo un elemento interessante per comporre una sorta di piatto di spezzatino (dove i pezzi sono apparentemente uguali ma solo chi ne mangia assapora le differenze) e vivere questi frammenti di storia contemporaneamente, oppure, se un solo uomo potesse riuscire a soddisfare il desiderio di essere amate. Mi chiedevo se incontrarsi su un argomento di interesse reciproco potesse dare un po’ di sicurezza, cercando di evitare il rischio di crisi di identità e aspirando a non coinvolgersi con nessuno. Chiaramente un pezzettino deve soddisfare l’intelletto, un altro la sfera sessuale, un altro quella ironica e così via, a seconda dell’inclinazione personale. L’ideale a cui bisognerebbe tendere è una sorta di equilibrio tra le micro storie con la speranza che tutti i protagonisti si trovino bene lì dove sono. Questa ricetta però contiene la sensazione di mancanza di qualcosa di difficile individuazione. In più l’equilibrio che si cerca di realizzare lo si percepisce piuttosto precario anche a causa dei pezzettini dello spezzatino che rivendicano un ruolo da protagonista e non da coprotagonista, soprattutto da parte di chi condivide il pezzo sfera sessuale.
Forse allora sarebbe meglio pensare a una nuova ricetta per stare bene e far stare bene e,da buona amante della carne, penso ad un piatto unico dove al centro sia posizionato un sostanzioso pezzo di carne ben cotta e tutto intorno vari piccoli contorni, necessari per abbellire e per saziare del tutto, ma non indispensabili ai fini del soddisfacimento della fame.
Quella sensazione di mancanza che non fa stare bene attuando la ricetta dello spezzatino, è legata all’assenza di un sentimento profondo e complesso, ed il fatto di volerne spezzettare uno è proprio la dimostrazione che si tratta più della ricerca di belle emozioni che di una condizione affettiva profonda e veramente appagante. La ricetta del piatto unico dona forse un equilibrio reale e non utopico, comunque quando si ha fame si deve mangiare.
Mi chiedo ancora, però, se tutta questa razionalità che produce teorie studiate a tavolino non sia costantemente messa in discussione dal fatto che il presupposto fondamentale su cui poggia il benessere affettivo è un un elemento di pura irrazionalità, come l’inspiegabile motivo per cui nasce e muore un sentimento.