Ernesto De Angelis. Nella fotografia il talento è solo l’inizio
di Emanuela Federici –
Non avevo mai incontrato un artista che non amasse sentirsi definire tale. Ho sempre creduto con fermezza in quel lato narcisista che si nasconde dietro l’estro di chi vive d’arte. Quindi sentirmi riprendere da una persona come Ernesto De Angelis mi ha lasciata confusa e piacevolmente sorpresa. “Di artisti ne conto trenta in tutta la storia dell’umanità, sparsi fra tutte le discipline… Possibile che io sia tra questi? Mi pare strano!”, mi dice scherzando…
Fotografo rinomato e docente presso la Scuola Romana di Fotografia e Cinema. Scopro, parlando con lui, che ha mille interessi. E così mi ritrovo ad ascoltarlo mentre mi racconta della sua esperienza come musicista, dell’attività di liutaio, del suo amore per i contrabbassi, dei campionati a biliardo, di quando ha insegnato tennis, e all’incirca ogni cinque minuti ne spunta fuori un’altra. Resto sbalordita, perché non è facile conoscere persone che riescano a coltivare le proprie passioni in ambiti così diversi l’uno dall’altro.
Com’è iniziata la tua carriera nel campo della fotografia?
“La mia esperienza nella fotografia è nata per diletto, per passione. Ho iniziato a studiare da autodidatta e ho capito dopo pochissimo tempo che quello sarebbe stato il mio mestiere. Mi era talmente congeniale che è stato tutto abbastanza facile, forse anche troppo. Nei primi anni ho studiato davvero tanto. Passavo anche quindici ore al giorno con la macchina fotografica in mano. Fotografavo qualsiasi cosa, anche i muri, ma non lasciavo mai passare giorno senza esercitarmi. Poi è arrivata la prima proposta in un laboratorio fotografico e, dopo qualche anno, ho iniziato a dirigerne un altro, per poi aprirne uno mio. Nel frattempo lavoravo in vari settori: cerimonie, convegni, pubblicità… Ho lavorato con marchi importanti, facendo campagne come Pepsi, Gatorade, SBS, McCann Erickson, Leo Burnett… Ho lavorato corporate per enti come AlmavivA, ANIA, e per vari architetti. Ora l’agenzia che mi rappresenta è la SIE Photo, di Carla Magrelli, e i miei scatti vengono pubblicati da agenzie internazionali come Corbis e Masterfile. Ho insegnato all’Accademia di Illustrazione Italiana pressappoco dal 1998 al 2004. Poi la scuola è stata chiusa e dopo qualche anno sono stato chiamato dalla Scuola Romana di Fotografia. Ancora insegno là, quindi evidentemente un po’ funziona!”.
Immagino che nel tuo settore la maggior parte dei lavori saranno commissionati, quindi spesso può essere difficile rispettare i propri gusti. Ci sono stati dei lavori che ti hanno soddisfatto particolarmente?
“Sì, certo. Ce ne sono stati tanti che mi hanno davvero soddisfatto. Ho scelto questo lavoro anche perché posso dipendere solo da me stesso. Ma è anche vero che in qualche modo si è costretti comunque a rendere conto al cliente. La cosa più bella, anche se ti potrà sembrare strano, è vedere che lui è soddisfatto. In tutta onestà devo ammettere che sono più contento quando in cuor mio so di aver fatto un lavoro buono ed ho visto il cliente eccezionalmente soddisfatto, piuttosto che impostare un lavoro che a me fa impazzire ma del quale il cliente non è poi così entusiasta. E’ una cosa che proprio non sopporto, e non c’entra il piegarsi al giudizio di un singolo, ma si tratta di una sorta di sfida con me stesso; quella di entrare nella mente di chi mi commissiona e capire ciò che mi chiede. Quindi cercare di tradurlo soddisfacendo lui, ma non rendendo insoddisfatto me. Non è una cosa semplice! Se io sono soddisfatto e lui no, io ho mancato in qualcosa”.
Quale consiglio daresti a chi sta entrando adesso nel mondo della fotografia?
“Il consiglio è questo: per diventare fotografi serve tanta voglia di apprendere e di studiare. A mio avviso il modo più giusto per riuscirci è quello di lavorare almeno sei ore al giorno per almeno sei anni, conoscere le opere più importanti dei più grandi artisti di tutte le epoche, informarsi, leggere e conoscere la storia dell’arte. Ecco, se ci sono questi presupposti e ti ritrovi anche un minimo di talento, allora sei sulla buona strada! Perché il fotografo deve essere colto, altrimenti si chiama ‘uno che scatta fotografie’. Sono due cose diverse”.
Non basta il talento, insomma.
“No. Anzi spesso avviene il contrario: avere troppa consapevolezza del proprio talento potrebbe portarti a pensare che ti possa bastare. Il talento senza lo studio non serve a niente, perché ti fa fermare. Questo è il consiglio che avrei voluto ricevere all’inizio. Ho avuto molta fortuna in questo lavoro perché mi sono lasciato trasportare dalla piena che ho creato intorno a me. La mia enorme passione mi ha fatto dimenticare la presunzione stupida che avevo. A diciott’anni pensavo di poter riuscire a fare tutto da solo e che alcune cose potessero essere raggiunte soltanto in base al talento che si aveva. Non c’è niente di più falso. Il talento va coltivato. Sei costretto a coltivarlo. La cosa bella è che, tutto sommato, sono entrato dalla finestra… Però poi ho capito che cosa bisognava fare per entrare dalla porta. E adesso lo insegno”.
Qualche progetto che stai seguendo adesso? Qualcosa in particolare?
“Sto facendo una sorta di rassegna sui mostri del cinema. Sto scattando i vari personaggi della pellicola, da quelli fantastici a quelli mitologici, come Frankenstein, Joker… Tutti in chiave femminile. Fotografo le modelle truccate e vestite a rappresentare quel personaggio e poi cerco di dare una chiave di lettura moda. Un altro progetto è quello di andare in Abruzzo in una casa del ‘600, della quale mi hanno già dato disponibilità, e fare un editoriale unendo sia gli scatti di un mostro che alcuni di moda con la stylist nella stessa giornata. E’ una casa favolosa e mi è molto piaciuta. Ho già in mente come sfruttarla”.
C’è stata una persona che ti ha ispirato particolarmente nella tua carriera?
“C’è stata, ma non c’entra niente con la fotografia, fa l’illustratore. E’ Giancarlo Montelli. Per me ha rappresentato un grande stimolo al lavoro. Addirittura in un momento particolare, in cui quasi volevo cambiare indirizzo lavorativo, Giancarlo mi disse ‘Ma sei matto? Vai avanti che tu riesci’. Erano i primi tempi. Lui neanche se lo ricorderà, secondo me”.
Photo: Nello Di Palma
http://www.ernestodeangelis.com