ED Libri

Archè

 di Cora Craus –

 

I versi di Daniela Cattani Rusich, autentica portavoce del mondo femminile, sono un cammino laico verso il trascendente e il divino… un religioso, immanente cammino nel sentiero della vita. Il poetare dell’autrice è un lungo, intenso narrare dell’intimità dei sentimenti, il narrare della faticosa conquista della libertà del cuore.

“Poiché il poeta è nudo/ – emblema scorticato dell’umana natura – eppure va cantando l’infinita verità dei venti”.

Di questa raccolta, Archè, (ed. Onirica – pag.90 – € 10), ci piace il senso di vastità, il parlare dei mille ruoli di una donna che si riflettono come in un labirinto di specchi, senza mai perdere di vista l’immagine originale. Così abbiamo la donna figlia e madre: dolori opposti e lontani solo in apparenza. La donna moglie e amante, esaltata dall’amore e ferita dall’incomunicabilità. Dualismi dove la forza salvifica della poesia brilla di luminoso cromatismo.

La poesia di Daniela è realismo calmo e silenzioso, intrecciato ad astrattismo caotico e dirompente. Due poli, due opposti, due anime che compongono l’essenza stessa della poetica nella silloge “Archè”.

Nella composizione, che dà il titolo al libro, viene esaltata la forza dell’arte in qualunque sua espressione. Parafrasando le parole di Dostoevskij, potremmo dire che l’autrice ricorda che l’arte salverà il mondo.

“Giustizia ha molti segni e un solo credo/ la spada è più tagliente ad ogni grido/ s’immola pura al cielo nel suo assolo…/ E l’Arte sia la fiamma, il solco, il volo.”

La poesia è l’arte comunicativa più vicina alla musica e, come fa la musica con le sue note, così anche la poesia con le sue parole dipinge la vita. Daniela lo fa elaborando un proprio personalissimo canone, uno stile che sembra cogliere termini e immagini in una dimensione altra, per restituirci purificato quel realismo che attraversa e pervade la raccolta.

La poesia, insegnano i grandi critici, deve contenere e riflettere il carattere genuino e vero dell’autore, solo così, per il lettore, sarà possibile rispecchiarsi in essa, anche dei lati oscuri, e trarne forza.

Veri atti di coraggio e di forza su se stessa per affrontare temi di dolore indicibili, di dignità calpestata, sono i versi della composizione “Stupro”, versi tristemente autobiografici, come ha dichiarato la stessa autrice in un’intervista.

“Sconfinato nell’oltre/ del confine stuprato/ ala acerba che sbatte/ contro i muri del sempre.”

Non è un caso che le vittime di questo vergognoso crimine sono coloro a cui più spesso viene meno proprio “la forza della parola”. Un dato quanto mai sconcertate è emerso in questi giorni: negli ospedali della sola Regione Lazio sono state curate 25mila donne vittime di violenza che non sono riuscite a denunciare quanto subito, a cui non abbiamo forse dato abbastanza fiducia per farlo. In maggioranza, indica il documento, i carnefici sono “cittadini europei”. Crediamo che mai come con questi versi Daniela faccia a tutte le donne vittime di violenza un dono grande, il dono delle parole, dell’incoraggiamento per denunciare o almeno condividere, che è già un passo per ricominciare ad avere fiducia.

“Niente mimose per me/ che ho il fianco squartato dai rovi/ e il sangue di more a farmi rosse le labbra/ oltre l’odio del mondo che mi semini dentro/ mentre io do alla luce la vita e l’amore”.

Questa luce che passa dai versi al lettore, ci restituisce l’immagine di un’autrice a cui le ferite inflitte nel corpo e nei sentimenti non sono riuscite a scalfire il nucleo purissimo della sua anima.

Ogni anima umana ha dentro di sé una serie più o meno varia e profonda di armonie. Il vero poeta è colui che le sa destare. Scandito da un ritmo dolce e incalzante, canta l’amore per il padre morente nella lirica “La mantide”.

“E’ il tuo sorriso stanco come un fiume/ – che aveva attraversato troppe valli – / forse tornava là, nel dolce Carso.”

Qui si concentra la memoria, il candore infantile: il ricordo come fulcro del presente pacificato e come abbandono del desiderio, del sogno di avere ricordi diversi dalla realtà vissuta.

La poesia è prodotta dall’evocazione di una moltitudine di immagini e di sentimenti che popolano lo spirito, è una suggestione, è uno sguardo gettato nel fondo misterioso e infido dell’essere.

“È un’illusione, / quella che vive dentro il nerofondo / dei nostri cuori gettati ai marciapiedi”.

La composizione “Non” descrive, con tratti lievi eppure incisivi e dolorosi, le ragioni delle sconfitte nelle relazioni. Relazioni nella loro accezione più ampia, nel suo dire:

“non c’era niente che andasse davvero / non c’era niente che fosse sbagliato”,

vi abbiamo ravvisato tutta la forza malevole dell’incomunicabilità, dell’egoismo e dell’isolamento degli individui di oggi.

La poesia di Daniela Cattani Rusich, espressa nelle liriche della silloge “Archè”, è un grande affresco sociale e umano, capace di mostrare la debolezza e la crudeltà dell’uomo, ma anche capace di elevarsi al di sopra del suo egoismo e della sua sconfitta.

 

Previous post

Soroptimist, convegno a chiusura del percorso contro la violenza di genere

Next post

La dirigente scolastica, Laura De Angelis e la sua battaglia per risolvere i problemi di oltre 900 alunni

Cora Craus

Cora Craus

Giornalista