ED editoriale

Una città colpevole della sua sciatteria che si indigna per uno po’ di spray

di Alga Madìa –

Mi scuso subito con i lettori se davvero i fatti di piazza Dante non riescono a farmi sobbalzare sulla sedia su cui sono comodamente seduta. Ma pur provandoci, davvero non mi riesce.

 

Forse nella notte, alcuni vandali hanno usato dello spray nero per imbrattare il monumento davanti ad una delle scuole elementari più belle e antiche della città. La scritta Littoria completamente cancellata, mentre sopra è stata disegnata (?) una A cerchiata.

Penso e mi chiedo, in mezzo a tanto degrado, a tanta sciatteria, di cosa dovrei sorprendermi. Tanto meno saprei indignarmi. L’inciviltà produce questo, vero, la mancanza di senso civico è il modo migliore per definire il non amore per la città che viviamo, che abitiamo tutti, tutti i giorni.

Vi racconto una passeggiata di alcuni giorni fa nel centro storico. Piazza del Popolo, per esempio: centro esatto della città, il Palazzo comunale, una fontana imponente, i grandi e possenti archi dell’intendenza di Finanza, la prospettiva che parte da lì per perdersi fino a lasciare intravedere il Palazzo di Giustizia.

Chiacchiere. Mi vergogno di mostrarla ad un amico che, negli States da più di 20 anni, e in vacanza nella sua città (perché il senso di appartenenza non si cancella), avrebbe avuto il piacere di fare un giro in centro a piedi, rivedere i posti a lui più cari, quelli che lo hanno visto ragazzino in quella stessa piazza, coi suoi amici, quando c’erano le siepi, le aiuole con i fiori  e colorate, i piccioni che si muovevano in stormi da 100.

Gli dico – Ma no, non scendiamo, non c’è parcheggio, la ztl non ci consente di attraversarla, ma da qui si può vedere tutto bene lo stesso-.

Lui preso dall’entusiasmo dei suoi ricordi e col movimento dell’auto non fa caso e non potrebbe far caso ai dettagli. Pavimentazione saltata, radici che hanno rotto i margini delle aiuole e che sono diventate pericolo per i passanti, l’erba gialla e secca (?!) che neanche nelle campagne dopo la raccolta del fieno. Quel fiore all’occhiello della città vergognosamente degradato, vergognosamente umiliato.

Se non si ama non si ha cura dell’altro, ma quel che è più grave è che se non ci si ama, non si ha cura nemmeno di sè stessi. E io, francamente, dinnanzi ad un’intera città veramente impresentabile, che ha l’arroganza di parlare di turismo, non posso fare l’ipocrita e stupirmi per una scritta che imbecilli hanno piazzato su un monumento. Nonostante tutta la disapprovazione, mi sembra chiaro.

Tutti colpevoli, non escludo nessuno, neanche me. Chi ci ha governato e chi è rimasto a guardare. Insieme siamo colpevoli di doverci vergognare di mostrarla, per come non siamo mai stati in grado di farla crescere, di arricchirla e di coccolarla, di poterne andare fieri, in poche parole, di amarla. Colpevoli per quante volte, chiusi in una cabina elettorale, abbiamo messo una croce a casaccio. Oggi, invece, tutti sono pronti ad indignarsi per una scritta, mentre quella croce a casaccio ci si continua a ritorcere contro e chissà ancora per quanto.

Io so che il mio amico, leggendomi,  perdonerà la mia bugia. 

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