Javier Marìas, “Vite scritte”
di Cora Craus –
Dissacranti e fulminee biografie di scrittori e scrittrici nella pungente penna di Javier Marìas in “Vite scritte” (ed. Einaudi – pag.215 – € 21). Un libro, una piacevole sorpresa scovata nell’ormai iconico “Mercatino della Memoria” di Latina. Tra le pagine di “Vite scritte” (ed. Einaudi – pag.215 – € 21), sfilano le storie di nomi come Oscar Wilde, Charles Dickens, Arthur Conan Doyle, Ivan Turgenev, Rainer Maria Rilke. Nel ritratto-cameo dedicato al poeta di origine boema leggiamo: “Quando, Rainer Maria Rilke era molto giovane, si recò a far visita al vecchio Tolstoj nella sua tenuta di Jasnaja. Camminavano nella campagna in compagnia dell’onnipresente Lou Andreas-Salomé, e Tolstoj domandò a Rilke: “A che cosa si sta dedicando adesso?”, al che il poeta rispose semplicemente e timidamente: “Alla poesia lirica”. A quanto sembra, quello che si ebbe in risposta fu non soltanto una sfilza di insulti, ma una diatriba in piena regola contro qualsiasi genere di lirica, una cosa cui in alcun modo nessuno poteva dedicarsi. Non v’è dubbio che al giovane Rilke le parole dell’anziano maestro russo dovettero entrare da un orecchio e uscire dall’altro…”.
Javier Marìas, uno scrittore che legge e racconta altri scrittori, soprattutto racconta le loro vite, le passioni, gli odi, le manie, le grandezze e le miserie “Vite scritte” così da essere lette.
Non mancano le figure femminili, si susseguono storie di donne, di scrittrici famose mescolate a donne meno famose ma dalla vita spericolata, fuori dalle “regole”, donne ribelli, fuori da qualsiasi condizionamento, con un unico vero lasciapassare: l’atteggiamento sprezzante, una maschera che proteggeva la loro libertà, l’autonomia di idee, di pensieri spesso pagata a caro prezzo.
Una vera chicca di sarcasmo è la biografia di Emily Brontë, l’autrice di “Cime tempestose”. “L’abituale preferenza per le storie di fantasmi e demoni e folletti dei narratori d’Irlanda. Senza dubbio qui Emily prese contatto per la prima volta con il soprannaturale, che sovrasta dalla prima all’ultima pagina il suo unico romanzo”.
In un capitolo molto particolare, dal beffardo titolo “Artisti perfetti”, vi sono racchiusi crudeli ed ilari riflessioni su famose fotografie di scrittori; qui, Marìas, dimostra con sardonica, inimitabile, derisoria verve ed infinita ammirazione, come la passione di leggere vada oltre la pagina stampata e giunge fino ad attraversare volti e sguardi. “Vero è che Melville delude un po’: pare una caricatura di se stesso, vale a dire, dell’uomo che potremmo giurare abbia scritto “Moby Dick” e non soltanto Bartleby” o “Billy Budd”. Il torace è in ombra per non dire sfumato, come per far risaltare ancora di più l’unica cosa che conta in realtà di questo viso, la barba lunghissima e patriarcale. Eccessivamente patriarcale. Questo venerabile gentiluomo, il cui ritratto è strettamente contemporaneo ai due di Wilde, è il suo opposto assoluto, la sua condanna e la sua negazione. [.] Melville in questa foto è un nonno, o un quacchero, o un pellegrino, o una gloria nazionale, o quel che peggio, un personaggio simbolico uscito dalle sue stesse opere”.
“Con il passare del tempo – scrive Marìas, nell’introduzione – mi sono reso conto che, se mi è piaciuto scrivere tutti i miei libri, è stato con questo che mi sono divertito di più. Forse perché, oltre che “scritte”, queste “vite” sono state lette”.