Le parole di Assia Djebar rompono il silenzio sulle donne algerine
di Marina Bassano
“Scrivo a forza di tacere. Scrivo per affrontare e lottare contro un doppio silenzio. Il mio, quello della mia persona, e un altro tipo di silenzio, più insidioso, il silenzio iscritto nella mia genealogia materna. La scrittura si anima, prende vita, velocità, galoppa persino, ma sempre come un echeggiare, in un bisogno compulsivo di conservare traccia delle voci che, tutt’intorno, volano via e si prosciugano”.
L’esperienza colonizzatrice è impressa negli occhi e nelle parole di Assia Djebar, scrittrice algerina nata a Cherchell nel 1936, che ha vissuto in prima persona le vicende legate alla colonizzazione francese della sua terra.
Nelle sue parole sono evidenti e durissimi gli attacchi ai francesi e ai loro metodi di conquista, che non è più vissuta come scoperta dell’altro ma come annientamento brutale. Nonostante l’invasione francese, Assia trova nella lingua degli invasori un modo per evadere dalla chiusura della cultura d’origine. Le sue parole ci parlano infatti di una lingua che, pur essendo quella del nemico, ”dell’altro”, diventa per lei “un’altra lingua”, che le apre le porte del mondo, della letteratura e della libertà.
Il bisogno del contatto con la sua terra la porta a girare in Algeria nel 1977 “La nouba delle donne del monte Chenoua”, un lungometraggio nei villaggi della tribù materna sul tema della memoria di guerra, che vince nel 1979 il Premio della critica internazionale alla Biennale del Cinema di Venezia. La nouba è il canto tradizionale della tribù berbere tramite il quale la scrittrice cerca di liberare la voce delle donne algerine che rischiava di rimanere nascosta. Corpo- suono- parola-scrittura, questo è il percorso rappresentativo di Assia: l’immagine ricorda che il suono viene fuori dal corpo, immobilizzato e reso muto dalla guerra, che ritrova voce con la scrittura. Il lungometraggio è costruito su una continua alternanza di realtà e fantasia di memorie, i cui piani spesso si sovrappongono. Domina su tutti i racconti un’oscurità notturna illuminata solo dalla luce di un focolare eretto a simbolo della memoria storica e della tribù.
La sua concezione della religiosità islamica rivela una diversa interpretazione dei passaggi chiave: per Assia ci sono tanti modi per portare il velo, dipende dall’io che decide cosa fare del proprio corpo; non è simbolo di assenza di libertà finchè non è imposto. Dalla prefazione a”Figlie d’Ismaele”, un dramma musicale, emerge una presentazione dell’Islam nel suo originale “palpito femminile” e nella sua purezza originaria , così come nelle sue umane contraddizioni, ben lontano dalle tradizionali accezioni misogine degli integralisti.
Nella sua persona e nella sua opera si fondono due culture senza gerarchie tra invasori e invasi a testimonianza di un’integrazione culturale possibile senza dover ad ogni costo mettere da parte aspetti dell’una o dell’altra civiltà; senza dover nascondere errori e ingiustizie, da qualunque parte provengano. Al centro dei suoi studi, accanto alla religione, resta il percorso di emancipazione delle donne musulmane all’interno di uno scenario in continuo cambiamento sociopolitico come quello del Maghreb.
I riconoscimenti ottenuti da Assia sono molteplici: il Premio Internazionale per la Pace degli editori tedeschi, il Premio Marguerite Yourcenar in Francia, quello per aver contribuito alla letteratura mondiale, attribuitole dall’Università dell’Oklaoma, nel 2005 è stata la prima donna maghrebina a entrare all’Académie Française. Ha insegnato storia della letteratura francese in varie università in Algeria, Marocco e negli USA.
Questa urgenza del linguaggio, del comunicare, del rompere il silenzio che la circonda, è costante nelle opere della scrittrice; la ricerca di un linguaggio adatto a dire ciò che deve rimanere nascosto, non può che approdare in una sperimentazione continua, che abbatta quel muro di incomunicabilità dal quale il mondo femminile era circondato. La dimensione personale si intreccia perciò con quella collettiva delle donne del suo paese e con la storia, in una scrittura sempre in bilico tra i tabù della lingua madre e la volontà di dare un’identità forte alle loro storie, che fanno dei libri di Assia Djebar un’occasione unica di comprensione di quello che ha voluto dire essere una donna araba in epoca coloniale.