Robert Capa: il dolore della guerra attraverso l’obiettivo. Ce ne parla Ernesto De Angelis
di Emanuela Federici –
Parlare di Robert Capa come uno dei più grandi fotografi al mondo potrebbe risultare fin troppo facile. Basti pensare che, insieme a Henri Cartier Bresson, è stato il fondatore della Magnum, la più importante agenzia fotografica di sempre. Non ci stupisce, quindi che le sue immagini fanno ancora il giro del mondo.
La sua forza espressiva e il tratto distintivo di chi vive la storia gettandosi nelle sue trame, lo hanno reso immortale, come immortali sono le sue immagini ormai impresse nella mente di chi le ha viste anche una sola volta.
“La cosa che apprezzo di più di Capa – ci spiega il fotografo Ernesto De Angelis – è la scelta di rimanere semplice: lui non amava essere definito un artista ed era un pacifista schierato perennemente contro la guerra”. Una guerra che ha sempre vissuto e combattuto con i suoi scatti sensazionali ed unici, senza mai tirarsi indietro di fronte al pericolo, fino al giorno della sua morte nel ’54 in Indocina dove la sua vita terrena ebbe fine a causa di una mina.
Come spesso accade, Capa viene ricordato soprattutto per due situazioni.
La prima è la morte del soldato spagnolo, durante la guerra di spagna, ma eviteremo di parlare di quella immagine per una serie di motivi, uno tra i quali l’autenticità della foto stessa che molti hanno riconosciuto come un fake.
La seconda, invece, fu durante lo sbarco in Normandia in piena Seconda Guerra Mondiale, dove avvenne un problema nello sviluppo delle uniche fotografie esistenti dell’evento. Quello stesso errore aveva alterato tutte le poche immagini salvate (undici per la precisione) che Capa era riuscito a catturare, donando loro un carattere che ancora oggi si cerca di imitare, in ambito fotografico ma soprattutto nella filmografia ambientata in quel periodo. “Molti registi, tra i quali Spielberg, hanno cercato di emulare ‘l’impasto’ che risultò da quei pochi fotogrammi, con successo devo dire: i primi 20 minuti del suo film ‘Salvate il soldato Ryan’ sono tra i più sensazionali della storia del cinema”, aggiunge De Angelis.
Oggi cercheremo di commentare, insieme a De Angelis, due immagini di Robert Capa, anche se dobbiamo partire dal presupposto che difficilmente potremo essere in grado di capirne veramente gli intenti. “Impossibile, forse, comprendere cosa si nasconda dietro quell’atmosfera di paralizzante terrore, in cui la macchina fotografica potrebbe rappresentare uno schermo dietro il quale rifugiarsi e riuscire a pensare a ciò che si sta scattando, oppure una trappola pronta a farci perdere la vita da un istante all’altro. A riguardo ricordo un mio amico cameramen che spesso veniva chiamato a riprendere interventi chirurgici in sala operatoria che mi confessò che se avesse abbandonato solo per un attimo l’oculare della videocamera, avrebbe rischiato di svenire alla visione cruda del sangue e altro ancora.
La prima foto è quella delle madri di Napoli che piangono i figli uccisi per aver sottratto delle armi tedesche:
E’ talmente travolgente la forza espressiva dell’immagine che è quasi un sacrilegio commentarla, anche dal punto di vista tecnico. L’unica cosa che mi sento di sottolineare è la perfezione dell’inquadratura (Capa non spreca nemmeno un cm del riquadro a disposizione, inserendo i visi disperati senza creare interferenze tra loro, le teste delle donne sono tutte magistralmente separate, quindi perfettamente leggibili), come se al momento dello scatto la macchina si fosse fermata, direi anzi bloccata da un grande magnete in quel preciso punto e solo in quel momento lui avesse scattato sapendo, a mio avviso, di avere l’immagine giusta.
Posso provare ad affermare questo perché a me succede proprio così, mi accorgo di avere l’immagine giusta appena un istante dopo lo scatto, come invece mi accorgo di aver sbagliato un’immagine esattamente nello stesso preciso momento in cui l’ho scattata: c’era qualcuno che chiamava questo fenomeno ‘esperienza’.
Notare anche la piccola foto del figlio scomparso che la signora ha tra le mani, le mani giunte e soprattutto la diagonale delle teste delle signore che parte dall’alto a sinistra per finire in basso a destra.
Tutto perfetto quindi, considerando anche che le apparecchiature fotografiche di cui si disponeva, non permettevano scatti in sequenza, ma scatti singoli”.
“La seconda immagine è proprio quella dello sbarco in Normandia, durante il D-Day dove Capa insegue letteralmente i suoi commilitoni che escono dall’imbarcazione dopo aver abbassato la sponda anteriore, esponendoli fatalmente al tiro delle mitragliatrici tedesche.
Capa è riuscito a trasmetterci la sensazione che si prova in un momento di enorme angoscia, non venendo meno però alla ricerca dell’immagine più equilibrata possibile, dove l’ultimo dei soldati sembra quasi al vertice della formazione, come fanno gli uccelli in volo di formazione per fendere meglio l’aria; in questo caso, probabilmente, per essere il meno possibile esposti ai proiettili del nemico.
Anche la cura dell’orizzonte che si perde nella nebbia diventa un colpo di genio, perfettamente dritto, e anche in questo fotogramma riesce a non sprecare nulla del negativo a disposizione.
Posso quindi affermare che il lavoro di Robert Capa è la risultante di grande determinazione, sensibilità creativa, ed enorme esperienza, della quale non si può assolutamente prescindere e rimarrà per sempre uno dei grandi fotografi che hanno conquistato una meritata immortalità e parlando di lui, purtroppo, potrebbe sembrare un paradosso. L’unico rammarico che posso avere è dovuto a quel piede messo nel posto sbagliato: chissà di quante altre incredibili immagini ci ha privato!”.