Aprilia, protetta da San Michele Arcangelo
di Marina Cozzo –
Alla sua fondazione il Centro Urbano era composto da quattro grandi fabbricati: Comune, Ufficio Postale, Chiesa, Casa del Fascio ai quali si aggiunsero il Cinema Littorio e la locanda per il ristoro degli abitanti. E la vita, nonostante malaria, duro lavoro procedeva placidamente in quello che era un embrione di città, ma con una energia e potenzialità incredibili. Sin dai giorni della sua fondazione, Aprilia era divisa in tenute agricole proprietà di grossi latifondisti romani che venivano affittate per periodi variabili dai nove ai dodici anni.
Aveva l’aspetto di una fabbrica, così lineare nell’intersecarsi delle poche strade sterrate che si dipartivano dalla piazza.
Ma ciò che tuttavia troneggia ora come allora nel cuore pulsante di questa città è la statua di San Michele che accarezza con il suo sguardo ogni angolo di Aprilia, mentre brandisce la spada contro il male, contro la sfortuna.
La statua è una opera dello scultore Venanzo Crocetti (1913-2003). Bronzea, alta circa tre metri, “San Michele” poggia su un piedistallo cilindrico di travertino ed è collocata sul sagrato della chiesa della città.
Nella sua complessità la statua esprime un insieme di simboli: quelli della sfera umana e quelli della sfera divina.
Il volto giovanile ha una espressione seria, calma, quasi appagata di chi ha compiuto la propria missione.
Il corpo forte, aitante e robusto esprime il vigore e la potenza fisica del soldato romano, evidenziata dall’armatura “muscolata” di derivazione greca. Sopra la tunica, il Santo indossa gli antichi pterughes, strisce di cuoio a strati sovrapposti, che servivano a proteggere la zona pelvica e la parte superiore delle braccia. Sulla cintura collocata al centro, si vede la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, mentre i piedi l’angelo calza le caliga, i sandali usati dai soldati romani. La spada con l’elsa cruciforme. Nella mano sinistra chiusa, San Michele stringe le funi che sorreggono la testa recisa del drago sconfitto sdraiato ai suoi piedi.
Le immagini alla base della statua irradiano le idee principali con le quali venne fondata la città di Aprilia, in altre parole con le immagini di tipo agreste. Una serie di episodi che narrano la vita nei campi delle diverse stagioni, quasi a voler rappresentare il continuo scorrere del tempo.
La Seconda Guerra Mondiale (di cui parleremo nel capitolo successivo), colpì, ferì anche quella statua, che per Aprilia è un monumento alla resistenza, al vigore, al voler uscire e risorgere dalle macerie come Araba Fenice.
A seguito del bombardamento l’opera più antica e importante della città si presentava priva di un pezzo della coda del drago, colpita da schegge di bombe e proiettili con una vasta presenza di fori che furono mantenuti per lunghi anni.
Nel 1991 fu realizzato il restauro conservativo della statua con interventi di rinforzo all’interno, ma al momento della rimozione della statua, l’artista che aveva deciso di seguirne il restauro scoprì nuove lesioni.
Crocetti era insoddisfatto del restauro avvenuto e decise nel 1995 di ricercare il modello nel proprio studio-laboratorio e di intraprendere su di lui il lavoro di recupero.
L’artista marchigiano ebbe un rapporto particolare con la statua di Aprilia. Infatti, durante la preparazione dell’opera ebbe un incidente: cadde dalla scala sulla quale lavorava e si salvò solo aggrappandosi alle ali che lo sorressero e lo salvarono, considerando l’altezza dei tre metri, da una possibile morte facendo nascere in lui una devozione particolare verso il Santo che lo legò fortemente all’opera da lui realizzata e, certamente alla città che la ospita e venera.