Autrici pontine. “La Fabbrica” di Rossana Carturan
Di Cora Craus –
Un romanzo di fluida chiarezza, ricco di brillante pathos che avvolge il lettore nel vortice, nel ritmo calmo ed irruento, frenetico e atonico della vita degli operai a Torino negli anni ’60. “La Fabbrica” di Rossana Carturan (ed. All Around . pag. 240 – €15) è un libro che risveglia la nostra memoria storica sempre troppo pronta all’oblio.
Con uno stile da “presa diretta” Rossana Carturan ricostruisce un pezzo importante delle lotte operaie e lo fa attraverso le vicissitudini, le emozioni, il tormento interiore che abitano i protagonisti. Le pagine del romanzo srotolano realtà di forti amicizie e solidarietà tra donne che di volta in volta, osmoticamente, si scambiano coraggio, speranza, volontà e fiducia. Donne diverse, spesso distanti, per appartenenza socio/-economica, donne silenziose ma ben decise a sovvertire una società opaca e oppressiva. “Ho incrociato gli occhi di queste donne, sono asciutti, privi di emozione, di fiducia. Ero disgustata da quest’annullamento pietoso, arrabbiata tanto da voler urlare poi ho visto il mio riflesso su una vetrina. Sono come loro, una veste nera in una strada grigia e fumosa. Ho sputato sul vetro, mi sono levata il fazzoletto logoro che porto sulle spalle e l’ho gettato in un secchio. È la divisa della povertà”
Rossana Carturan si conferma una delle più belle penne dell’attuale panorama letterario, ci piace molto l’impatto della scrittura in cui il lettore non riesce a sentirsi “solo “un lettore bensì un protagonista in più, o meglio, la proiezione di ciascuno di loro perché tutti noi siamo i beneficiari, i portatori sani delle loro lotte, delle loro conquiste. Antonio, Anna, Toni e Lina narrano la nostra storia, la storia di quelle numerose famiglie di immigrati che hanno popolato Torino. Dove lo splendore, l’eleganza di una città mitteleuropea non riuscì a nascondere la sua ombra nera che arrivò fino a negare il diritto di provare sentimenti di orgoglio, di dignità alle persone, alle donne, alle famiglie di meridionali che così tanto contribuirono alla sua ricchezza, al suo tornare centrale nella geografia politica italiana. “Per i piemontesi è la città più bella, sarà per sempre la vera capitale d’Italia. Quando Torino ha festeggiato i cent’anni dall’Unità, per molto tempo ho visto i torinesi gironzolare con una coccarda tricolore appuntata al cappotto o alla camicia. Sorrido ancora per quel fanatismo così esagerato nelle menti di questi signori del nord che invece, per un cornetto portafortuna nel portachiavi dei meridionali, sanno esprimere al massimo il disgusto”
In cosa ci immergiamo attraverso la storia dei principali protagonisti? Con Anna viviamo la fatica, a volte la rassegnazione, l’estraniamento di un dolore sordo e tenace eppure sentiamo in maniera forte, vivida, quel fuoco sotto la cenere che le arde dentro, quella voglia di conquistare l’indipendenza quella vera, quella che proviene dalla consapevolezza del proprio valore: accettando e sfidando qualunque prova la vita vorrà mettere sulla sua strada. Antonio e Toni uomini così dissimili eppure uniti da un obiettivo comune rendere la società meno disuguale meno razzista, uniti da una salda amicizia, da una leale alleanza: una realtà che gli uomini, tra loro, sperimentano da secoli.
Lina con l’amore per il suo lavoro di insegnante e la forte contezza che il mondo lo si cambia, davvero, attraverso la scuola in tutte le sue più ampie accezioni. Lina aggiunge una marcia in più al semplice insegnamento: la sua innata generosità, la sua volontà a voler condividere, con quieta naturalezza, la sua “fortuna” di ragazza del sud che ha studiato.
Una ventata di freschezza arriva con la giovanissima Gabriella, emblema della nuova gioventù quella che concretamente e culturalmente contribuirà a cambiare il modo di pensare.
Pagine intense, vere fotografie di parole, descrivono brutture e iniquità passate che sembrano l’eco delle cronache attuali e il pensiero va alle lotte per la sopravvivenza dei “nuovi meridionali” in terra pontina o nella terra dei fuochi a Luana D’Orazio e alle tante, troppe, vite stroncate sul lavoro. Un mondo del lavoro che sempre più sembra rifiutare le conquiste dei nostri padri: rispetto della dignità delle persone e rispetto delle vere norme di sicurezza.