Borgo Hermada, la frazione dell’incantata Terracina
di Marina Cozzo –
I Borghi dell’Agro Pontino hanno tutti il proprio fascino: sia dal punto di vista storico, se si pensa che taluni sono antichissimi e pre-romani e altri più recenti alla velocità e la forza impresse per la loro realizzazione; sia da un punto di vista meramente paesaggistico con le immense distese rigogliose, tinte di colori accesi e vivi, dove il clima è accogliente e gentile.
Non menzionare taluni borghi è per mancanza di fonti, perciò vedrete saltare qua e là i contributi storici sull’agro.
Certamente un bel materiale è dedicato a Borgo Hermada, nato, insieme ad altri centri simili, come centro di servizi per l’ampia opera di appoderamento resa possibile con la bonifica dell’Agro Pontino, durante il ventennio fascista. Il territorio, nel Comune di Terracina, liberato da acquitrini e boschi planiziari e reso così coltivabile, fu suddiviso in ampi appezzamenti da mettere a coltura a cura principalmente dell‘Opera Nazionale Combattenti (O.N.C.).
Borgo Hermada fu “generato” in località Macchia di Piano, nel 1932, dall’O.N.C. a soli sei chilometri di distanza dall’incantata Terracina.
Il 1933, il commissario governativo per la Bonifica dell’Agro Pontino, Valentino Orsolini Cencelli, decretò che che la denominazione dei nuovi borghi dovesse essere rievocativa delle battaglie famose della prima guerra mondiale. Così, il nuovo insediamento prese il nome dal Monte Hermada, oggi al confine sloveno.
L’anno successivo, quando Mussolini nel 1934 visitò la zona delle bonifiche per recarsi all’inaugurazione della provincia di Littoria, il borgo era ancora in via di realizzazione.
Vi ebbe sede l'”azienda agraria dell’Hermada” una delle aziende create dal O.N.C. per gestire le migliaia di poderi creati nell’area circostante e condotti a mezzadria e attiva fino agli anni ’60.
Il borgo si distingue da altri vicini per lo stile architettonico antidecorativo degli edifici principali, molto simile ai caratteri razionalisti e interessato solo in parte dagli aspetti storicisti che caratterizzavano molti degli edifici rappresentativi delle nuove fondazioni nell’Agro Pontino.
Alcuni dei progettisti impiegati furono gli stessi di Sabaudia: gli architetti Gino Cancellotti, Luigi Piccinato, Alfredo Scalpelli e Eugenio Montuori, che insieme progettarono la chiesa; l’ingegnere Alfredo Pappalardo dell’Ufficio tecnico dell’O.N.C., progettò invece la scuola e il serbatoio, il centro aziendale e gli schemi tipo per le case coloniche dei poderi; Piccinato le Poste e la Casa del Fascio. Tutti si rifacevano al principio di realizzare particolari costruttivi e di finitura improntati alla massima semplicità e funzionalità: era accuratamente bandita ogni ornamentazione.
La chiesa di Sant’Antonio, poi, era caratterizzata da una facciata rettangolare, ispirata all’architettura medievale abruzzese.