Don Boschin – Borgo Montello lo ricorda a vent’anni dall’omicidio
di Marina Cozzo –
Era il 29 marzo 1995 quando Don Cesare Boschin veniva ucciso e la sua morte rimane tutt’ora ammantata di mistero, seppur di ipotesi se ne siano fatte tante, tutte riconducevano ad un gesto camorristico.
Nella giornata di ieri, per non dimenticare, i vent’anni dell’omicidio, alcuni cittadini di Borgo Montello hanno reso ossequio e commemorato la disgrazia piombata su tutta la comunità locale e italiana, facendo celebrare una messa nella Chiesa della Santissima Annunziata. Molti si sono riuniti indotti da uno spirito solidale, di diniego e da uno spunto di riflessione.
Aveva 80 anni, Don Cesare, quando la perpetua, come ogni mattina, entrava nella sua stanza per assisterlo e la scena che le si spalancò insieme alla porta della camera da letto, fu atroce, devastante: il sacerdote era sul letto, un cerotto che gli serrava la bocca, la faccia e il corpo pieno di lividi, la tonaca indossata; e poi incaprettato (legato mani e piedi con una corda che gli passava anche attorno al collo) e la dentiera, a causa del bavaglio e delle percosse andò ad ostruire il cavo orale, decretando la sua morte per soffocamento. Il ritrovamento del corpo avvenne il giorno dopo.
Ma chi poteva volere morto il parroco di un borgo della veneranda età di 80 anni?
Tante le ipotesi, persino insinuanti la moralità e la rettitudine di quel presbitero (fu bollato dalla cronaca come un delitto maturato negli ambienti gay e a scopo di rapina), venuto dalla lontana provincia di Padova negli anni ’50, per professare la sua religione in quel Borgo dell’Agro Pontino: dalla forte personalità, a volte testardo, con le sue parole scagliava fendenti per la difesa della onestà, della rettitudine, della comunità. E, nella sua parrocchia si schierò come avamposto di grandi interessi, come per esempio la sempre discussa discarica di Montello.
Siamo agli inizi degli anni ’90.
Un giorno il sacerdote fece una telefonata “a chi sapeva lui”: questo innescò il dispositivo che lo condannò a morte. Ma perché quella telefonata?
Era una notte, quando camion provenienti dalle industrie di Vicenza e Arezzo scaricarono rifiuti speciali da smaltire a poco prezzo nella discarica di Borgo Montello, per “noncuranza” delle procedure previste da legge. E Don Cesare sapeva, perché parlava con i suoi parrocchiani e ascoltava i loro sfoghi e lamentele e preoccupazioni di fronte all’impatto ambientale di quei rifiuti.
E poi, a conferma di tutte quelle voci, confessioni, la denuncia di un vendicativo giovane operaio della discarica, licenziato: certi fusti sospetti interrati nei pressi della discarica; operazioni di carotaggio prima di mastodontiche sepolture. Fu il dipendente a parlare per primo ma, nel frattempo il comitato civico, spalleggiato da Don Cesare, convinse il Sindaco di Latina Ajmone Finestra ad intervenire e questi incaricò l’Enea per le ricerche: l’esito di queste ultime scomparve misteriosamente, forse sotterrato nella stessa discarica, mentre i rotocalchi sbandieravano titoli da prima pagina con “la nave dei veleni”….
Quel ricordo di lui e di quell’omicidio assurdo è ancora vivo e il suo sacrificio un’onta per l’intera Nazione, sopratutto perché non ha mai trovato pace e giustizia: nessuno è mai riuscito a ricostruire il reale movente di un simile ripugnante delitto, continuando a languire nel limbo anche di sospetti, che, per ironia della sorte, alla fine, giunsero ad offuscare l’onorabilità quel Vero Uomo di Chiesa e padre spirituale, la cui battaglia ora è guidata da Don Ciotti.
Nella foto in alto la discarica di Borgo Montello.