Doganella di Ninfa, la storia e il mito di Ninfa
Chi muore per amore, in realtà muore per la sua mancanza.
Roberto Gervaso
di Marina Cozzo –
L’Agro Pontino è una regione del Lazio non solo molto estesa ma anche molto varia e custodisce con cura, in sé, siti e borghi estremamente affascinanti sia per la loro storia che per la loro posizione geografica.
Discendendo da Roma, subito dopo Pomezia si incontra Aprilia, la quarta Città di Fondazione, in ordine di tempo, avamposto tra le città dell’Agro e, proseguendo verso Terracina, la prima località pontina che si incontra è Cisterna di Latina. Quest’ultima ha origini antichissime e sorge ai margini settentrionali della regione pontina, al confine fra le province di Roma e Latina, ed è un centro agricolo e industriale di rilievo.
Conosciuta come la “città dei butteri“, ospita nel suo territorio un vero e proprio paradiso: l’oasi WWF del giardino di Ninfa, monumento naturale considerato fra le aree verdi più belle del mondo.
Certamente deve il suo fascino alla sua storia, agli aneddoti e alla leggenda che essa ha visto all’interno delle sue mura.
Il mito di Ninfa
Molti e molti secoli fa, nel borgo, viveva un re, padrone di tutto l’Agro Pontino ed era ricco e potente, ma non era mai riuscito ad aprire sino a mare una uscita alle acque che, ristagnando, gli ammorbavano il regno di malaria e zanzare.
Il re aveva una bellissima figlia di nome Ninfa, di cui si erano pazzamente innamorati due grandi potenti, il re Moro, malvagio e stregone, ed il re Martino il buono, riamato segretamente dalla principessa.
Il re padre fece un accordo con i due: avrebbe concesso Ninfa in sposa a colui che avesse prosciugato le paludi.
Senz’altro il re Martino si mise al lavoro e, chiamati a migliaia schiavi e gente del suo regno, prese a scavare un enorme fosso attraverso le dune di sabbia e le foreste di quercia che separano le paludi dal Tirreno. Ancora ai giorni nostri si vede l’opera sua in quel gigantesco fosso, che attraversa la grande altura boscosa in vicinanza di S. Donato e che porta il nome Rio Martino (così si afferma).
Al contrario, re Moro non faceva nulla, e se ne rimaneva lì a guardare l’altro lavorare, continuando a fare la corte alla bella Ninfa; ma la fanciulla non si curava di lui, perchè tutto il suo cuore era per Martino che tanto lavorava per conquistarla.
Al termine degli estenuanti lavori di re Martino, Ninfa rimproverò re Moro di non aver voluto fare nulla per conquistarla. Allora questi prese una bacchetta magica, nascosta nel suo mantello e, stendendola verso il Monte Circeo, fece un solo gesto e le terre si abbassarono e si formò un grande solco, per il quale le acque impantanate si misero a scorrere verso il mare lasciando asciutto rio Martino.
A quel punto Ninfa capì tristemente di essere destinata a Moro e nulla e nessuno avrebbero potuto contro l’arte diabolica di un moro.
La principessa affranta e angosciata a quel pensiero, salì sull’altissima torre che si specchia nel lago, si voltò per un’ultima volta verso il mare, con gli occhi invasi da lacrime di dolore e poi si buttò nelle acque cristalline. Il suo corpo non fu mai ritrovato e, si pensa, da quel giorno, sia diventata una malefica fata che se ne sta ancora laggiù nascosta in fondo a lago.
Si ringrazia la pittrice Anna Kappler di Nettuno, in mostra in questo periodo a Latina, per la gentile concessione della pubblicazione delle sue tele.