Anastasia, storia di una donna al limite
di Stefania Belmonte –
Trentasette anni, divorziata, due figli. È arrivata dalla Grecia diciassette anni fa, quando ancora della crisi economica non c’era nemmeno l’ombra, Anastasia* ha subito iniziato a lavorare part-time. Il turno di lavoro inizia alle 14, quando dà il cambio alla sua collega italiana.
Il suo posto di lavoro è un grandissimo “open space”, in una zona industriale nelle campagne comprese tra la Migliara 45 e la Migliara 47, al confine tra Latina e Sabaudia. È una lavoratrice “autonoma”, non deve dar conto a nessuno dei suoi affari e spesso per arrotondare si porta a casa anche un po’ di lavoro. Non transige però su un aspetto: gli orari. La mattina è dedicata alle faccende domestiche, alla spesa, ai vari pagamenti da effettuare: le bollette, il mutuo, le tasse, gli studi dei figli. La sera alle 19.30, pochi minuti prima che passi l’ultimo autobus che la riporta a casa, finisce il suo turno.
Nella sua attività, con oltre 17 anni di esperienza, può essere ormai essere annoverata tra le più esperte del territorio. Ha mosso i suoi primi passi quando si trovava in Grecia, poi ha proseguito al suo arrivo in Italia, rendendo ciò che era partito come un gioco, un modo per avere qualche soldo in tasca, un lavoro con facili guadagni. Oggi clienti di tutte le età si rivolgono a lei: per l’iniziazione e per il… gran finale. Pagamenti solo in contanti. Oggi però anche il suo settore ha subìto una notevole flessione a causa della crisi: gli affari non vanno più bene come un tempo. Dai quasi 8mila euro al mese dei primi anni, la situazione è nettamente peggiorata: oggi non riesce a superare i 100 euro al giorno.
Quando l’abbiamo incontrata, Anastasia, era sul ciglio della strada regionale Pontina. Capelli ricci, castani, un paio di leggings neri e una maglietta attillata a malcelare le curve di un corpo di un metro e sessanta arrotondato dagli anni e dai pasti troppo veloci. Uno sguardo a noi, un occhio alla strada, in attesa del bus, prossimo all’arrivo. Un italiano perfetto e un tono cordiale per le risposte alle nostre domande.
Guardandoti indietro, cambieresti rotta alla tua vita?
No, ormai non sono più capace di immaginarmi in modo diverso. Ho cominciato troppo giovane, non ho mai fatto né cercato altro nella vita, nonostante avessi un marito – che ormai mi ha abbandonata – e due figli. Quando ho iniziato, quasi per gioco, da ragazzina, non pensavo che fare la prostituta sarebbe diventato il mio lavoro. Poi ho visto che guadagnavo facilmente, e per qualche anno in Grecia ho anche vissuto molto bene, risolvendo in poco tempo i problemi economici che mi avevano spinto ad iniziare.
Non è forse un po’ triste un’esistenza in cui gli uomini si interessano a te soltanto per il sesso?
Certo che lo è, è molto triste. È una vita che non auguro a nessuno. Ormai però mi sono abituata ed anche un po’ rassegnata a questo mio destino. D’altronde è l’unico modo che ho oggi per pagare le bollette, il mutuo, e per far studiare i miei figli.
Lavorare in strada può essere pericoloso. Non hai paura?
Sì, ci sono stati dei momenti in cui ho avuto paura. Oggi però mi sono abituata anche a questo. So che d’inverno fa buio presto e, nel corso degli anni, ho visto e sentito tante cose. Sono ben consapevole che da me può presentarsi chiunque. Non ci penso più adesso, per necessità devo andare avanti così. A volte mi porto il lavoro a casa, per arrotondare.
Chi sono i tuoi clienti?
È molto variabile la mia clientela. Si presentano giovani senza soldi, ragazzi portati dagli amici per scherzo, che vogliono fare il rito di “iniziazione”. Mi sono anche capitati uomini molto anziani: una volta un 85enne portato dai nipoti che volevano fargli un regalo.
Cosa pensi dei tuoi clienti?
Penso che in realtà siano persone molto più tristi di me. Gente che cerca compagnia a pagamento perché non ha altre risorse. Forse è un po’ il dramma di quest’epoca: tutti grandi dietro a un computer, troppo insicuri, fragili ed inesperti nella vita reale.
*Il nome scelto è di fantasia per tutelare la privacy dell’intervistata