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Autrici pontine. “MATER” di Geltrude Agristini

Di Cora Craus –

Nel libro “Mater” della scrittrice pontina Geltrude Agrestini il mare è l’elemento naturale che funge da sfondo e fil rouge alla raccolta di cinque racconti tra loro diversissimi. Racconti scritti davvero in punta di penna con una narrazione lineare, incisiva cui si aggiunge uno stile poeticamente asciutto, qua e là arricchito da esperienze sensoriali. Trame solide costellate di personaggi, anche secondari ma sempre tratteggiati con personalità precise eppure ricche di sfumature. Grande attenzione è riservata alle ambientazioni storiche, architettoniche e sociali. Un mix che, mescolando leggerezza espressiva e durezza di contenuti avvolge e trascina il lettore/trice nelle peripezie umane ed emotive delle protagoniste. “Mater” è una speciale carrellata sulla storia delle donne che sembra evolversi a passo di gambero. Cinque racconti al femminile con focus sulla “molte e disparate” maternità come suggerisce il titolo stesso della raccolta. Scrive l’autrice nel prologo: “L’acqua, il mare, simboleggiano la femminilità generatrice di vita e l’inconscio, grande contenitore di desideri ed emozioni”

Facciamo insieme un excursus nei cinque racconti:

“Spumeggiante come un abito di pizzo bianco”

È il suggestivo titolo del primo racconto che racchiude l’arcana magia dell’amore, dell’incontro di due anime in quello che chiamiamo “colpo di fulmine”. Ed è ciò che accade tra Marina e Asdrubale.

 Il mare e uno scoglio sono i testimoni della nascente storia d’amore che unisce i due protagonisti. Un racconto da gustare su più livelli: il primo romantico, frivolo, quasi racconto di appendice: un amore unico e comune, fuggevole ed eterno quanto l’Uomo sulla terra.

In “Spumeggiante come un abito di pizzo bianco”, l’autrice affronta temi quali speranze, pregiudizi, paure di esclusioni sociali che ci imprigionano, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Tra le pagine emerge un forte senso di impegno civile e di riconoscimento del valore intrinseco dell’essere umano, al di là delle categorie sociali. Potremmo dire che l’amore vince su tutto, ma, in questo racconto, a un livello più profondo di lettura conta e molto l’intelligenza del cuore, l’intelligenza della mente, dello sguardo che si volge dentro di sé, oltre gli angusti orizzonti del piccolo pensare.

 Un racconto che conquista per una impalpabile, concreta essenza positiva che sprigionano tutti i personaggi e, diremmo sentendo l’eco di vaghe reminiscenze tolstoiane, ciascuno la esprime a modo suo. E poi c’è un alto, sacro, universale approccio alla maternità. Che, ovviamente, senza sé e senza ma, vede protagonista la donna; eppure tra le righe del racconto, si palesa anche il nuovo avvicinamento: più sensibile, più coinvolto, dell’uomo a quello che sarà l’evento della paternità. “Mi fanno così impressione questi movimenti nella tua pancia, che non posso immaginare cosa provi tu che hai le sue sporgenze all’interno, in mezzo agli organi, sotto il cuore, tra il fegato e i reni. Com’è Marina contenere un fagotto di figlio dentro il corpo?” (pag. 37)

“Come onda anomala che travolge”

 Un dolore, quello della maternità non voluta, intersecato dalla delusione e l’illusione d’amore; ma, soprattutto, l’anima abbietta di un “uomo per bene”. Il racconto “Come onda anomala che travolge” è un noir dove, forse, la parte più noir, più oscura non è il delitto. Il fetido odore della corruzione impregna le pregevoli mura di lussuose dimore e dei suoi abitanti. Al centro Faustina, giovanissima ragazza troppo forte, troppo fragile, troppo ingenua. Una storia, che conquista e tiene il lettore in tensione spasmodica, simile a un essere rapiti dal “Bolero” di Ravel.

 Il racconto, incredibilmente, porta il solare messaggio di un sempre possibile riscatto dell’animo umano. Un riscatto che sboccia sia tra le spietate sbarre di un carcere femminile sia in una donna cieca e quasi sorda che riesce a “sentire”, con la chiarezza del cuore, la purezza d’animo di una ragazza assassina. Il potere della redenzione legata alla maternità, che sia biologica, spirituale o, semplicemente, affettiva, è più forte di ogni rifiuto, di ogni nefandezza che diventa salvezza dalla follia e dalla morte nera dell’anima per sé e per gli altri.

Aperto e sconfinato.

Un racconto descrittivo e poetico: un vero inno alla famiglia, alle donne all’interno della famiglia, alla loro, a volte silenziosa e a volte rumorosa, “rivoluzionaria” lotta contro i pregiudizi, contro i legacci che quasi sempre diventano nodi indistricabili intorno al diritto di vita, di autonomia delle donne. La voce narrante evoca e ricorda tre generazioni della sua famiglia a partire da nonna Rosa e nonno Giovanni e le loro cinque figlie ciascuno con il suo destino. La narratrice ricorda la bella tradizione di trascorrere le vacanze, tutti insieme, nell’antica casa dei nonni che racchiudeva a sua volta ricordi dei bisnonni che l’avevano costruita. Su tutto aleggia il senso impalpabile, forte e tenace di sicurezza donata dai legami familiari.

Mare salato.

 Flavia e la sua maternità malata di troppo amore, o, forse, di troppo poco amore. L’amore esclusivo ed escludente di una mamma, in realtà un desiderio di possesso onnipotente, un desiderio di gestazione senza fine.

 Maternità significa amore oblativo l’esatto opposto del desiderio di possesso, una vera ossessione che pervade Flavia verso il figlio Massimo. Che giunge fino alla distruzione di un matrimonio quasi felice, fino alla negazione della famiglia, alla negazione del suo essere donna per voler essere solo “mamma”.

 Un racconto pieno di pathos, di dolore interiore, di incomunicabilità che si espande e infetta l’aria che si respira. A cosa porterà tutto questo a livello umano, a livello spirituale?

Agitato come un mare in tempesta.

Una terribile storia d’amore tossico e violento, in cui il concetto di “amore” sembra essere distorto in un desiderio malato di controllo e sopraffazione dell’altro. È un malsano e bieco desiderio di possesso, di annullamento dell’altra persona quello che anima l’attore maschile del racconto: “Agitato come un mare in tempesta”.

 Marta e Alessio i protagonisti del racconto rappresentano in una sfumata, incisiva contrapposizione il prototipo e la cruda realtà della violenza di genere, della violenza domestica.

 La storia fin dai primi sguardi annuncia, non riconosciuti, i prodromi della futura violenza sulla donna. Quei gesti autoritari, quei passionali slanci a senso unico, quel non condividere niente, nessuna decisione, perché l’amata è la principessa acefala che deve solo gioire ed essere soddisfatta e felice della nuova vita disegnata dall’uomo.

 Un disegno che va avanti per sottrazione: niente più lavoro, niente amiche, poco, meglio, niente rapporti con la famiglia d’origine e tanta violenza fisica e psicologica. Un inciso: le donne vittime di violenza spesso, al pronto soccorso, si ritrovano a dare spiegazioni quali cadute per le scale o incidenti con gli sportelli aperti di mobili e armadi.

Per Marta c’è la salvezza eppure, la lettrice la percepisce come una falsa salvezza, una salvezza avvolta nel dubbio e nell’ansia, come tutte quelle dove non c’è denuncia alle forze dell’ordine, ai centri antiviolenza. Lei, Marta, coraggiosa ragazza che ama il surf impara a cavalcare l’onda degli avvenimenti a cercare equilibrio… un lungo allenamento di cui le donne amaramente si fanno maestre.

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista