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Danilo Ceirani, e il suo “L’amore pregiudicato”

 

di Cora Craus –

Per “domande a margine”…risponde Danilo Ceirani, scrittore-storico di Latina in classifica alla Feltrinelli con la sua ultima pubblicazione “L’amore pregiudicato –Donne e omosessuali sotto al fascismo.

Con la storia prima o poi bisogna fare i conti e anche pace. In attesa di tanto, proviamo a conoscere meglio un aspetto terribile, spietato ed ambiguo del Ventennio nero grazie a Danilo Ceirani, autore insieme a Pierluigi Rocchetti del sopracitato libro “L’amore pregiudicato –Donne e omosessuali sotto al fascismo. (ed. Levante – pag. 180 – € 15). In questa breve chiacchierata abbiamo scelto di rileggere alcuni brani, ovviamente del suo libro: ci faranno da guida per meglio inquadrare l’atmosfera di oppressione e paura di quel momento storico.

Una considerazione: il libro di Ceirani e Rocchetti, uscito all’inizio dell’anno per la casa editrice Levante, è di una straordinaria attualità. Questo, in Italia, è un momento di riflessioni, di analisi culturali sul ventennio fascista, in questi giorni si è svolto a Forlì con il tema “Le donne nei totalitarismi”, il Festival Europeo di Storia del Novecento.

“Il tema delle donne durante i totalitarismi – spiega Marcello Flores, Ordinario di Storia Comparata e Storia dei diritti umani all’Università di Siena e relatore al festival – non è mai stato affrontato in maniera così organica. Nei totalitarismi il potere è machista e noi abbiamo voluto mettere insieme tante storie diverse che parlano di donne”. (Venerdì – di La Repubblica). Così come è di questi giorni la notizia che ha conquistato l’attenzione dei Media, il sindaco PD di Predappio “la Betlemme de fascismo”, Giorgio Frassinetti,  ha deciso di aprire un museo dedicato più o meno al Ventennio fascista. Il museo di sicuro occuperà la Casa del Fascio e i suoi 2.200 metri quadrati.

C.C. – Danilo, lei, oltre a questo, ha scritto svariati altri libri sul ventennio tra cui ricordiamo “Le dieci domande sul Nazismo” (ed. Albatros), Perché è positivo parlare del nazismo, del fascismo?

D.C. – Perché c’è sempre bisogno di ricordarlo, senza paura di farlo. Io, spero di contribuire con spunti e riflessioni non convenzionali.

C.C. – Vorrei soffermarmi su un passo del suo libro “L’amore pregiudicato”: “L’Italia di Mussolini escludeva dal Codice Rocco qualsiasi riferimento all’omosessualità. Mentre il Nazismo puntò decisamente all’eliminazione (letteralmente fisica) dell’omosessuale, usando i metodi con cui avrebbe soppresso i nemici interni e gli individui dichiarati inutili per l’economia del Terzo Reich, il fascismo impiegò l’arma del silenzio e dell’emarginazione sociale, deportando i gay al confino o isolandoli dal contesto socio-culturale”.

Il silenzio legislativo del Codice Rocco sulla omosessualità, l’ambiguità del “non c’è reato, ma ti condanno lo stesso”, “il germe infetto” del non prendere posizione, possiamo dire che sia la causa del vuoto legislativo in materia che ancora affligge l’Italia?

D.C: Si, io credo sia possibile. C’è da considerare che questo problema è comune a quasi tutti gli stati che hanno avuto un regime di destra. Una eccezione, positiva, è stata la Spagna con la sua capacità di conquistare spazi progressisti nonostante il Franchismo sia stata una delle più longeve dittature.

C.C. – C’è un passo molto particolare: “Quando i cancelli di Auschwitz e degli altri lager vennero abbattuti dai blindati dagli Alleati, molti dei superstiti marchiati con il triangolo rosa non ebbero il coraggio di rivelare il vero motivo del loro internamento, restando volontariamente vittime senza voce e senza giustizia”.

Ecco, lei crede che quel comportamento fu la conseguenza di un crimine culturale, di un vuoto culturale. Questo crimine, questo vuoto è presente ancora oggi?

D.C.- No, oggi no; quel vuoto culturale si è molto ristretto. Vi sono ancora delle forti lacune, c’è ancora molto da costruire, ma niente di paragonabile all’epoca fascista. Per tornare alla “mancata” denuncia delle vittime del campo di Auschwitz, bisogna ricordare che anche i liberatori, inglesi, russi sull’omosessualità non avevano idee molto dissimili da quelle seguite dai regimi nazi-fascisti.

Nel capitolo “Gli omosessuali al confino”, si legge: “Diverso fu l’approccio del regime nei confronti dell’omosessualità femminile. Le lesbiche incapparono soprattutto in sanzioni morali; furono ostracizzate, talvolta arrestate, ma furono più spesso perseguitate con motivi del tutto pretestuosi, prendendo a prestito l’armamentario clinico delle psico-patologie. Particolarmente ligi nella stigmatizzazione del lesbismo furono religiosi e psichiatri: dato che l’omosessualità femminile non era perseguibile per via penale”.

C.C. –  Lei racconta che le donne lesbiche erano quasi totalmente ignorate dal regime fascista, in quel contesto potremmo definirlo: una “fortuna”, ma di fatto si metteva in atto un ulteriore discriminazione, un ulteriore umiliazione. E’ così, ancora oggi?

D.C. – In parte sì, ciò è vero ancora oggi; ma è difficile fare un parallelo: allora le donne erano talmente asservite, silenziose. Poi le donne lesbiche erano ignorate pubblicamente come tali ma perseguitate in altri modi: dichiarandole malate di nervi, o meretrici.

C.C. – Lei, racconta, un quadro spietato della condizione della donna in generale, vi è però una grande contraddizione, da una parte erano considerate meno di niente come soggetti politici e sociali, dall’altro si assiste alla prima grande, rivoluzionaria conquista sociale delle donne: la creazione del O.N.M.I, Opera Maternità ed infanzia, votata il 10 dicembre del 1925. Dove, in un clima di negazione e di possesso della donna, fu varata una legge, marziana, oseremmo dire per l’epoca, la nascita del processo per il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio. Furono realizzati i primi consultori ostetrici ecc. Vorrei che lei in una frase mi racchiudesse questa grande contraddizione?

D.C. – Un grande effetto collaterale! Il regime fascista, o meglio Benito Mussolini, pur di raggiungere l’obbiettivo di ricostruire il grande esercito italiano sterminato dalla prima guerra mondiale e raggiungere i famosi otto milioni di baionette, otto milioni di giovani vite, ha aperto la strada a un valido principio e a un reale progresso sociale.

C.C. –  Lei ritiene che la causa, presente ancora oggi, della disuguaglianza sui salari a sfavore delle donne, sia da ricercare in quel famoso “Discorso dell’Ascensione” pronunciato alla Camera dei deputati il 26 maggio del 1927 di Mussolini. Che tra i rivoli di mille parole di fatto c’era l’invito ad escludere le donne da qualsiasi carriera lavorativa?

D.C. – Sì, esatto. Credo che molti di questi problemi, in Italia, discendano da quella matrice. Le donne che lavoravano, che coltivavano ambizioni personali, per il regime, erano una perdita perché si distraevano dal punto cruciale loro assegnato: procreare, possibilmente figli maschi per la patria.

Due piccoli brani del libro: “Nel 1940, arrivò però per la piccola comunità omosessuale delle Tremiti una buona notizia: scoppiata la guerra, il regime decise di rispedire a casa i confinati di San Domini. Ben diverso sarà invece il destino dei gay nella Germania nazista, condannati a ciò che è stato definito Omocausto, vale a dire lo spaventoso (dimenticato) sterminio degli omosessuali”. “Al contrario degli omosessuali maschi, le lesbiche non furono raggruppate (nei lager) a partire dalla loro inclinazione sessuale, bensì in quanto “pervertite”. [.] In alcuni campi, come a Flossemburg, venivano perfino costrette a prostituirsi nei bordelli messi in piedi per il divertimento delle SS”.

C.C. –  Una domanda irriverente, ma davvero il fascismo è stato “il fratello scemo del nazismo”?

D.C. – Sì, in parte sì. La sete di potere di Mussolini, i pessimi consiglieri di cui era circondato, l’inettitudine di Casa Savoia, ha finito per fare accettare a Mussolini di “recitare questa parte”. Costringendo tutti noi italiani a subire una vergognosa “etichetta”.

 

C.C. –  Un’ultima domanda, una curiosità personale, Lei ha studiato Chimica Industriale, da dove nasce la sua passione per la ricerca storica?

D.C. – Dalla lettura di narrativa di guerra e dalla curiosità, dal voler conoscere e condividere il “backstage”, dei grandi eventi storici.

 

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista