Diario di una casalinga (quasi) disperata.
di Elisabetta Calandrini –
L’orologio segna le otto del mattino ed io sono già in piedi da due ore.
Ho preparato i bambini per la scuola e li ho accompagnati a prendere l’autobus.
Fuori dalla mia finestra il sole accarezza gli alberi e le foglie, si sentono cinguettare gli uccellini nascosti chissà dove su chissà quale ramo.
Oggi è una giornata simile a tante altre che vivo in queste quattro mura. Uscito mio marito per andare al lavoro, resto sola con il consueto cesto dei panni sporchi, con il quale devo dire, ho stretto davvero un bel rapporto. Ci conosciamo da anni ormai. Potrei descriverlo ad occhi chiusi per ogni giorno della settimana. Con la lavatrice invece, siamo compagne da una vita. Mi ci sfogo spesso, soprattutto quando sono arrabbiata o snervata. Lei è lì che mi ascolta dal suo angolo di magazzino con l’oblò semiaperto e le lucette di accensione che lampeggiano come a dirmi – stai calma, mi stai facendo agitare!!!
In cucina però, passo gran parte del mio tempo. Dalla colazione alla cena, senza fermarmi mai. Qualche volta nel pomeriggio preparo un dolce, uno qualsiasi. Alla marmellata, crema, cioccolata, con le mandorle, con l’uvetta, di rado anche i biscotti. Mi piace sbizzarrirmi, inventare ricette. Sono fatta così, se non faccio di testa mia, non sono mica contenta!
Altre volte seguo i consigli della Clerici. Solo quelli relativi alle torte, perché per quanto riguarda primi e secondi preferisco seguire i vecchi metodi di mia nonna e di mia mamma, che nonostante l’età continua a stupirmi con i suoi piatti sempre più sfiziosi. E pensare che quindici anni fa non ero capace nemmeno a cuocere una frittata, non sapevo rompere un uovo, mi si frantumava fra le mani. Sono stata costretta ad imparare quando sono nati Riccardo, Mattia e Claudia, undici, dieci e sei anni.
Ho sempre desiderato creare una famiglia. Quando io e mio marito ci siamo sposati, ero già incinta del primo solo che non lo sapevo. Mi ero da poco laureata in Architettura e dopo tanta lunghissima gavetta ero riuscita ad avere il mio primo posto di lavoro in uno studio professionale molto rinomato. Ero felice. Non che tutt’ora non lo sia, ma quando vedi realizzati i tuoi sogni, quelli legati al futuro e alle aspettative di una vita, sei sempre un passo avanti rispetto a chi non è riuscito a concretizzarli. Con la nascita di Mattia e poi con quella inaspettata di Claudia le cose cominciarono a complicarsi. I miei figli avevano bisogno di una mamma sempre presente, per questo io e Giovanni decidemmo di rinunciare ad un lavoro, in questo caso il mio.
Fare la casalinga a tempo pieno non è di certo lo stile di vita che ho sempre sognato.
Detesto passare il resto delle mie giornate chiusa in casa a lavare piatti, ad eliminare macchie dai vestiti e sgridare i bambini di non fare questo e non fare quell’altro. Ma visto che sono in confidenza, voglio scriverlo.
Un paio di settimane fa mi sono chiusa in camera e ho pianto. Senza motivo. Mentre stiravo le camice di mio marito e nella stanza accanto Claudia e Mattia urlavano per contendersi un giocattolo, io piangevo.
Ma il mio sfogo non era legato ai miei meravigliosi figli o a questa casa che abbiamo messo su piano piano, sacrificando i risparmi. Amo questi spazi e se un giorno dovessi mollare tutto e andare via, mi mancherebbero da morire.
La verità è che a volte crollo perché non sono una donna da 24 ore col ferro da stiro e il mestolo per il sugo, capite? Io sono quella che ha voglia di lavorare, di farsi in quattro su un tavolo da disegno. Mi piacerebbe poter dimostrare a qualcuno quello che so fare perché so con certezza di valere molto più di mille ricette sperimentate o delle tabelline che faccio ripetere ai miei figli.
Ho pensato a questo proposito di parlare con Giovanni, dopo aver messo al letto i bambini e finito di disinfettare la cucina. Ho la sensazione che andrà tutto per il meglio. Mio marito mi ama e sa quanto sia importante per me tornare a lavorare. Capirà.
Ora devo proprio scappare.
Questa camera è in completo disordine, ci sono pupazzi sparsi ovunque.
Il sugo si attacca. Merda!!