Ebe Pierini, oltre l’uniforme oltre la guerra.
di Cora Craus –
Per “Domande a margine” risponde….Ebe Pierini, scrittrice, giornalista del Il Messaggero e Il Mattino, inviata di guerra “embedded” al seguito delle forze armate italiane.
Il profilo: Ebe Pierini è nata a Latina ma vive a Sabaudia. Importante “penna” de il Messaggero e de Il Mattino. Come inviata di guerra è stata in Kosovo, Bosnia, Libano, Afghanistan. “Centottanta giorni – Storie di soldati italiani in Afghanistan” (ed. Herald – pag. 206 – € 15) è il suo primo libro.
Ebe, il suo libro “180 giorni – Storie di soldati italiani in Afghanistan”, ha riscosso e riscuote interesse e curiosità, inoltre è sommersa d’inviti per presentarlo, si aspettava questo grande consenso?
No, è qualcosa di inaspettato, ho avuto molte remore a scriverlo mi sembrava di svilire ricordi, emozioni, confidenze. Oggi, mi fa piacere presentarlo nella mia provincia e sentire il calore con cui sono accolta anche fuori dall’ambiente militare.
In una frase, il libro parla di…
Trenta storie che raccontano i centottanta giorni di alpini, paracadutisti, fanti, bersaglieri, genieri, cinofili, piloti, marinai, avieri, carabinieri del contingente italiano in Afghanistan. Attimi di vita e di missione…
Lei è stata in luoghi dove violenza e tragedia sono pane quotidiano, al rientro dalle missioni quale è stata la maggiore difficoltà per rientrare nella “normalità”?
Quando rientro ho un momento di sfasamento, e, lo dico sotto voce, provo un sentimento indefinito che somiglia molto al mal d’Africa. Perché nonostante le difficoltà e la durezza oggettiva della situazione in cui mi sono trovata a vivere come inviata di guerra l’Afghanistan è un paese che ti rimane dentro. E’ difficile da raccontare l’emozione di un cielo, di un firmamento scevro da inquinamento luminoso, una visione che toglie il respiro. Si, è stata una mia personale emozione: guardare la natura come agente laico della trascendenza. Poi, la limitazione dell’uso della tecnologia, quali telefoni, pc, fb e altri social media mi ha portato a riscoprire la bontà del “parlare”, del conversare, del farsi coraggio insieme. In un teatro di guerra ho scoperto il valore immenso del “semplice” rapporto umano.
Una sua personale definizione della parola guerra?
La paura della gente, dei civili.
Il suo rapporto con la paura?
La paura…la faccia notturna del coraggio. Sono molto fatalista, o forse, mi racconto di sentirmi fatalista per trovare il coraggio di fare qualcosa che sento di voler e dover fare: sei vuoi raccontare con onestà il mondo, gli scenari di guerra devi viverlo e documentarti.
Una giornalista o una scrittrice che considera il suo maestro ideale?
Oriana Fallaci, per lo stile, per la forza delle sue convinzioni. Questo suo essere una voce fuori del coro. In questo momento sto rileggendo “La rabbia e l’orgoglio”, e pur non condividendo tutto ciò che scrive, vi è nei suoi lavori una lungimiranza ed una capacità di analisi che mi piacerebbe, anche in minima parte, riuscire ad emulare col tempo.
L’Europa oggi: patria comune, un utopia, un sogno, una realtà, una tragedia?
Molta strada è stata fatta, ma credo che sia ancora molto lungo il processo politico per la reale metamorfosi da “l’Unione Europea a “Stati Uniti d’Europa”. C’è e si sente una sempre maggiore presa di coscienza da parte di tutti noi cittadini sull’importanza di essere europei malgrado le tensioni di questi ultimi tempi che sembrano scoraggiare, remare contro. Per rispondere alla sua domanda la definirei: una futura realtà.
Questa idea di “futura realtà” vale anche per le Forze Armate?
Guardi, io seguo per IL Mattino, il settore Difesa e posso confermare che tra le forze armate c’è il sentimento, la consapevolezza di essere parte di una grande coalizione in cui si sentono davvero europei. Cosa non così scontata, se ricordiamo che l’Europa agisce sotto “l’ombrello” della Nato.
Lei è di Sabaudia e scrive per Il Messaggero, un aggettivo, un pensiero per definire la politica a Latina?
Un grande caos, si è perso il vero senso della politica. Si è smarrita l’etica. Poi c’è un profondo scollamento tra gli eletti, coloro che dovrebbero amministrare la cosa pubblica e i cittadini. Gli uni sembrano alieni agli altri. Ma sarebbe ingeneroso riferirlo solo a Latina; è una realtà comune a tutta l’Italia.
Un ultima domanda, una curiosità lei parlava di una sfida personale…
Sì, vorrei tornare a ringraziare pubblicamente, tramite Esseredonna- Magazine, il Rotary Club Latina Circeo per la loro sensibilità e il concreto aiuto a far giungere alcuni banchi scolastici nella scuola di Herat. Li ho visto donne e bambine sedute per terra a studiare. Persone che rischiano molto pur di imparare a leggere e a scrivere né i talebani né la sottocultura rurale amano le donne istruite. Ecco aiutare queste donne è stata la mia “personale sfida” oltre i confini, oltre la mia missione in Afghanistan.