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Feltrinelli, Leone D’Ambrosio presenta: “La casa e l’Assenza”

 

 

a cura di Cora Craus –

 

Giovedì 10 Maggio 2018 alle ore 18,00 presso la libreria Feltrinelli –Latina Presentazione del libro di Poesia: “La casa e l’assenza” (Edizioni Ensemble, Roma, 2018) di Leone D’Ambrosio. Partecipano con l’autore: Prof. Rino Caputo, Università Roma Tor Vergata; Prof.ssa Adriana Vitale Veronese, Poetessa; Dott. Pietro Vitelli, Scrittore.

Di quest’ultimo lavoro di Leone D’ambrosio ne abbiamo diffusamente scritto su “EssereDonna- Magazine”, crediamo di fare cosa gradita riportandone alcuni stralci. La nuova raccolta di poesie di Leone D’Ambrosio ha la prefazione di Paolo Di Paolo e la postfazione di Silvio Raffo. Interessante ciò che scrive Paolo Di Paolo, finalista al Premio Strega, uno degli scrittori e saggisti, tra i più importanti del momento.

“Quando entra, nel primo verso di una poesia, la parola cromosoma, – si legge nella prefazione di Paolo Di Paolo- funziona come una nota più alta. Non una dissonanza – anche perché il verso seguente richiama subito l’armonia. E forse a questo tende la musica piana e avvolgente dell’intera silloge: alla tenuta armonica di un discorso che proceda per tessere senza mai perdere uniformità. Il cuore, forse, sta nel rapporto tra paesaggio esterno e passaggio interiore: i luoghi vengono spesso indicati con precisione, come ci abitua tanta poesia novecentesca – Tindari, via dei Tribunali, Ninfa, Sperlonga, Campo de’ Fiori, rue du Panier -, e con la stessa precisione nominati i movimenti emotivi che suscitano o che hanno suscitato. Ma la casa è un luogo sacro ed eterno, sacrificata dall’assenza e dal dolore, dove rivivono gli affetti e le figure familiari, garantendo così l’immortalità della memoria. Leone D’Ambrosio, in un titolo – il penultimo della raccolta – parla di inaspettata elegia, e direi che sì, la chiave, la parola più giusta, così difficilmente traducibile e così classica, è proprio questa: elegia. Una questione di delicatezza, di temperatura mite – che, se non c’è nelle cose, va difesa in noi: s’alza una luna nuova sulla terra anche dopo che tutto è perduto; e questo – la natura non ostile ma serenamente indifferente – fa pensare ai latini, a Tibullo, a Properzio, alle a Properzio, alle tempeste che infuriano, al calore e alla quiete cercati in una stanza o in una memoria. Consacrerò il sonno alla tempesta / perché il dolore non trovi la via di casa / quando chiuse saranno le imposte.”

Significativa è anche la postfazione di Silvio Raffo, poeta e profondo conoscitore di Emily Dickinson, molto stimato dalla critica ufficiale. “Difficile tracciare il confine fra impietosa lacerazione e rasserenante armonia in questo struggente canzoniere sinfonico di Leone D’Ambrosio, in cui l’ordine quasi matematico delle partiture sembra sublimare l’impareggiabile vuoto e lenire le ferite-cicatrici che separazioni e abbandoni lasciano impresse come stigmate sul cuore indifeso.- scrive nella sua postfazione Silvio Raffo-  Il baricentro del dolore e della gioia è la casa del titolo, ossessivamente evocata e rievocata, una casa dove nasce e muore la vita. All’esterno, terra, cielo e mare fissati in pochi tratti essenziali. A tutelare la casa, a renderla eterna, è un patto d’amore, che anche se tutto è perduto perdura e mantiene incorrotta la sua legge – e la sua eco preziosa- nei corridoi della coscienza. La casa è l’archetipo di un luogo (e di un non-luogo) fantasmatico eppure nitidissimo labirinto, dove s’intrecciano vita e morte, che potrebbe essere annientata dal crisma doloroso dell’assenza; ma proprio il puro miracolo dell’elegia fa sì che la sua ossuta presenza si faccia eterna. E’ questo il magico potere della casa, di essere non solo lo specchio retrospettivo delle belle stagioni del passato dove la figura della madre di voce in voce portava lune, ma anche e specialmente l’emblema iconico di un tempio, la fiaccola di una persistente luccicanza. Quella di Leone D’Ambrosio è, fra le poche di oggi, voce lirica e vigorosa, di un’intensità aliena da qualsiasi compiacimento retorico o cerebrale, in cui riecheggia a tratti l’Alfonso Gatto dei versi famigliari e l’amatissimo Libero De Libero di certi trasognati incanti panici, ma a prevalere è un timbro inconfondibile, di poeta che batte i denti davanti al sacro fuoco, una cadenza di canto in cui si avverte secca la parola mentre (in elegante contrasto) dall’altra stanza alto sale/ un canto mediterraneo.”

 

 

 

 

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista