Il badge? Roba vecchia. Ora c’è il microchip
di Emanuela Federici –
Dimenticate il badge. Dimenticate registri e cartellini. Dimenticate liste, codici e password. Le regole della sicurezza e della tecnologia sono cambiate. L’oggetto di culto delle nuove generazioni è il microchip. Esatto. Un circuito integrato miniaturizzato impiantato sotto la cute.
Nell’Epicenter di Stoccolma, in Svezia, i dipendenti vanno a lavoro così, registrati, come i nostri animali domestici. E basta passare la mano davanti ad un dispositivo per attivare porte, stampanti e computer.
Il trasmettitore per l’identificazione a radiofrequenza (RFID) viene inserito con una siringa tra il pollice e l’indice e permette di essere identificati dai lettori sparsi per l’ufficio e quindi autorizzati ad accedere ai vari servizi. Questo microchip, grande quanto un chicco di riso, contiene i dati anagrafici del dipendente e i codici d’accesso all’edificio, così da rendere automatico l’utilizzo dei vari dispositivi in azienda.
Rory Cellan-Jones, reporter della BBC, si è fatto impiantare il trasmettitore per verificare il funzionamento di questa nuova tecnologia e nel servizio trasmesso dall’emittente londinese ci mostra come un semplice gesto sia in grado di aprire ascensori e attivare macchinette del caffè nella grande azienda che lavora nel settore high tech. Nel cuore del mondo delle start-up nel settore dell’innovazione e della tecnologia, ai dipendenti è stata data la possibilità di scegliere se farsi impiantare o meno il microchip sul dorso della mano. Non tutti hanno accettato favorevolmente l’iniziativa, al contrario del CEO dell’azienda svedese che proprio durante il party di presentazione è salito sul palco per farsi innestare il trasmettitore da un tatuatore.
Un’innovazione questa che apre nuovi scenari e nuove opportunità, ma che spaventa perché si vede ridurre drasticamente la propria libertà. Essere “marchiati” da una tecnologia in grado di conoscere i propri dati sensibili e i propri spostamenti non fa dormire sogni tranquilli e in tanti hanno deciso di prenderne le distanze. Molti dipendenti, infatti, hanno preferito i soliti vecchi “pin” alle radiofrequenze e alle tanto temute intercettazioni.
In una società in cui la privacy è quasi un pensiero astratto, in cui la ricerca dei propri spazi e il rispetto per la vita privata del prossimo vengono considerati concetti insensati e sopravvalutati, c’è chi si indigna. Chi non accetta un tale congegno volto al controllo e alla manipolazione delle informazioni di ognuno di noi. E se Hannes Sjoblad, a capo della BioNyfiken – società che ha impiantato i chip ai dipendenti Epicenter – esordisce con “Oggi è tutto un po’ caotico, abbiamo bisogno di pin e password. Non sarebbe più facile toccare tutto semplicemente con una mano?”, alcuni gridano al complottismo e al terrorismo digitale.
“Non penso che potrei mai accettare un simile dispositivo. Essere etichettati e controllati perennemente toglie qualsiasi parvenza di individualità – ci spiega Carlo, studente alla Facoltà di Economia di Latina – È la negazione della libertà che con tanta fatica nel tempo l’uomo è riuscito a conquistare. Sarebbe ridicolo rinunciarvi per la pigrizia di non voler avere a portata di mano un badge”.
E forse questi timori non saranno del tutto sbagliati. Ma ai fanatici delle teorie cospirative dobbiamo dare una grande delusione. Questi chip sarebbero in grado di gestire solo dati contenuti in un badge, come codici di sicurezza e informazioni utili per le varie attività da svolgere in ufficio, come per il registro degli accessi o al massimo per sbloccare il codice dello smartphone.
Quindi il pericolo di una manipolazione mentale è scongiurato… Quello della scomparsa del fenomeno dell’assenteismo ancora no!