Innamoramenti e amori, grandi novità a “Casa Diaphorà”
Di Cora Craus –
“L’impresa più difficile dell’essere genitori è lasciare che le nostre speranze per i figli abbiano la meglio sulle nostre paure”. Queste parole di Ellen Godman sono la perfetta sintesi delle emozioni, delle aspettative e delle speranze espresse da alcuni genitori dei ragazzi che stanno iniziando un percorso di autonomia e indipendenza, anche amorosa/relazionale, nel progetto “Casa Diaphorà – Autonomia abitativa”. Progetto che sarà inaugurato ufficialmente il 4 dicembre 2022 in occasione del ventennale dell’Associazione latinense.
All’interno della casa vi saranno, oltre agli educatori, 9 persone tra cui tre coppie, che si sono innamorate durante i corsi e le varie attività proposte dai collaboratori e dai volontari dell’associazione; queste persone, di tante età diverse, sono l’emblema che l’amore non conosce confini, non conosce handicap, non conosce “diversità”.
Ma prima di lasciarci trasportare dal romanticismo, dal sogno, dall’emozione e magari dall’idea di assistere al primo matrimonio nella magica cornice di Fogliano dove ha luogo la sede della Diaphorà, cerchiamo di comprendere cosa si intenda, per disabilità. Il documento ICIDH pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) nel 1980 riportava la seguente definizione: “La disabilità è una condizione dovuta a una menomazione fisica o mentale, mentre l’handicap è la conseguenza che la disabilità ha a livello sociale.
L’handicap è la condizione di svantaggio sociale che deriva dall’inserimento del soggetto disabile nella società. A causa della disabilità, il soggetto non può svolgere il ruolo che le sue caratteristiche socioculturali gli attribuiscono. L’handicap indica perciò il divario tra le aspettative prestazionali della società o del soggetto stesso e il suo grado di efficienza. Questa differenza insormontabile diventa evidente soprattutto in un contesto competitivo.
Se c’è integrazione del soggetto nella comunità c’è svantaggio, quindi c’è handicap”.
Ci ha molto colpito leggere che la condizione negativa emerge fortissimamente quando il soggetto disabile affronta l’inserimento nella comunità laddove, all’opposto, dovrebbe essere naturale il suo diluirsi. Polemicamente potremmo dire che il disagio vero è per la comunità, che si scopre capace di vivere e accettare solo l’omologazione. Un secondo documento pubblicato dall’O.M.S nel 2001 affronta in chiave molto diversa il tema della disabilità, eliminando il vecchio termine di handicap con una nuova terminologia che descrive lo stato di salute delle persone in relazione all’ambiente di vita (sociale, familiare, lavorativo) per riconoscere quelle difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità. Il precedente documento dava ampio spazio a termini come malattia, menomazione e handicap con riferimento a situazioni di deficit, restando legato alla connotazione negativa di disabilità. Nel documento del 2001 invece l’O.M.S. fa riferimento a termini che analizzano la salute dell’individuo in chiave positiva (funzionamento e salute). In quest’accezione , la disabilità è intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
Abbiamo compreso e ammirato la forza di volontà, la tenacia e la fatica pratica ed emotiva quotidiana necessaria, soprattutto alle mamme su cui ricade la stragrande parte dell’impegno di cura, per tutti quei no, “i no che aiutano a crescere”, che hanno dovuto dire a quel figlio che sentivano speciale, un po’ più loro.
Abbiamo riconosciuto anche il trascinante entusiasmo e la fiducia nel nuovo progetto che Bruno Mucci, presidente dell’associazione Diaphorà, ha illustrato e le tante iniziative a esso legate, sottolineando con autenticità che “il motore della nostra associazione sono i 50 volontari, energia propulsiva che ha reso possibile la formazione di una comunità di persone in grado di spostare l’attenzione da concetto di “disabilità” a quello di “diversità”, dove le relazioni prendono il posto dei pregiudizi, i limiti si superano nella condivisione, favorendo relazioni intime, sincere e profonde”. Nelle parole del presidente abbiamo avvertito l’eco delle parole di un grande giornalista, il mitico direttore del giornale rosa “La gazzetta dello Sport” Candido Cannavò che scriveva: “La domanda da porsi è questa: che cosa può fare un disabile per la collettività in cui vive? È una domanda rivoluzionaria, un cambio drastico di cultura e immagine”. Guardando da vicino la realtà della Diaphorà, ci è sembrato che l’associazione si sia sempre mossa nell’ottica di questa filosofia, vale a dire come rendere le diversità una ricchezza in primis per la comunità più prossima e consequenzialmente per la società tutta. In questi primi vent’anni i soci, i volontari e i simpatizzanti hanno strenuamente lavorato per questo traguardo, “Casa Diaphorà – Autonomia abitativa”, che rappresenta davvero un sudato, meritatissimo successo per loro… e per Latina. È forse il primo passo per la polis e per tutti noi verso un’apertura mentale e spirituale sul tema, perché la diversità e la disabilità abita in ciascuno di noi. Ricordiamo che in fondo se chiediamo a un’aquila di nuotare nelle profondità marine vedremo sempre e solo un essere con un handicap.