“Non è il mio tempo” il nuovo romanzo di Graziella Di Mambro
di Cora Craus –
“Non è il mio tempo” (Ed. All Around – pag.160 – € 15) di Graziella Di Mambro è una saga familiare forte, una storia di donne racchiusa in una scrittura lucida, sintetica, commovente che lascia tracce e commozioni profonde. Nelle pagine scorre il dolore, la miseria, la politica e la realtà sociale di tre generazioni. Un posto particolare occupa Caterina, la bisnonna di Maria, protagonista ed io narrante del romanzo. Caterina, una donna di uno sperduto paesino del Sud Italia, analfabeta e determinata. La fatalità e la cattiveria degli uomini la portano ad affrontare la straziante situazione della figlia Antonia condannata per il reato di aborto sotto la dittatura fascista. Caterina, una donna coraggiosa che ripeteva come un mantra a se stessa: “Un giorno questo finirà, un giorno, Dio mio, deve succedere.”
“Non è il mio tempo” è una storia corale dove ciascuna voce si staglia nitida, con una sua personalità decisa merito di un’elegante ed incisiva costruzione narrativa. Al centro del romanzo vi è la tragedia e la lotta delle donne per ottenere una legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, l’attuale legge 194. Un diritto delle donne eternamente in bilico, provvisorio, come quasi tutti i diritti femminili e, a conferma di ciò, una news vera reale di questo nostro tempo: La Corte suprema degli Stati Uniti dopo 50 anni ha abolito il diritto di aborto.
E da questa notizia appena lanciata dalla televisione prende l’avvio la storia. È vero che il romanzo di Graziella Di Mambro mette al centro un aborto avvenuto durante un periodo violento, sessista e con l’ossessione della necessità della crescita demografica: il ventennio fascista, dove era un reato penale gravissimo e che tale sarebbe rimasto , anche, dopo il tramonto del ventennio. L’avvenimento porge il fianco ad una riflessione sulla durezza, l’ingiustizia, i soprusi di quel periodo che colpivano tutti uomini e donne ma quest’ultime hanno sempre pagato un prezzo più alto soprattutto per la cultura oppressiva del patriarcato.
“Non è il mio tempo” l’ho percepito, vissuto, e molto profondamente, come un romanzo sulle emigrazione e le immigrazione, sulle sofferenze e le speranze che questo partire e approdare trascina con sé. Pagine intime e politiche sui sentimenti di straniamento, comuni e universali, che abitano gli emigrati di seconda generazione come Maria, una donna giovane, affermata nel mondo della scuola e della vita culturale in Svizzera, figlia di Tommaso, un operaio italiano e di una donna tedesca eppure si sente una persona sospesa: “Non era svizzera e non era italiana. Gli altri si sentivano ‘cittadini del mondo’. Lei non era così convinta che quel termine fosse utile a evitare le lacrime che salgono quando, in realtà, non sai chi cazzo sei né dove ti trovi” [.] Persone di nessun luogo, uomini, soprattutto uomini, e donne che non sapevano esattamente dove stavano andando e ancora meno da dove venissero, un po’ senza radici e un po’ senza speranza, un po’ realizzati dal lavoro da emigrati e un po’ falliti perché dove stavano non era il ‘loro posto nel mondo’.
L’impossibilità di superare il trauma della morte dell’amatissimo padre e la nuova consapevolezza, di una tristezza infinita, compagna fedele, in fondo allo sguardo di suo padre anche nei momenti felici, spinge Maria a leggerne il diario dalla copertina rossa. Nelle sue pagine si snoda la storia della famiglia Peduto: l’afflizione, la precoce risolutezza, le speranze di un bambino e la storia di tutta una comunità capace di trasformarsi in “branco” nei confronti di una giovane donna vedova che aveva osato rinnamorarsi…purtroppo di un codardo, altro che uomo nuovo dell’era fascista.
Tommaso la sua storia l’ha scritta senza mai confidarsi con nessuno, certamente non con la figlia; nelle righe dell’agenda Maria ritrova l’eco di parole ascoltate dietro una porta quando era molto piccola sull’ l’aborto della nonna Antonia il suo arresto avvenuto maniera violento, plateale, umiliante che ha segnato per sempre Tommaso al punto che non possono passare in secondo piano le poche amare frasi usate per parlare dell’inferno della seconda guerra mondiale: “eppure ci fu subito chiaro che quella guerra, con tutti i suoi difetti, avrebbe fatto male a chi ci aveva fatto del male, quindi ci fece meno paura che agli altri” .
“Non è il mio tempo”, è un inno al coraggio, alla volontà di non arrendersi, all’amore filiale, all’amore dei genitori capaci di silenziosi indicibili sacrifici, è un inno all’inclusione, all’essere cittadini liberi e grati a chi questa libertà ci ha passato a prezzo della vita.