San Suu Kyi, dopo anni di prigione le elezioni gridano il suo nome
di Marina Bassano –
Sono le vite di persone eccezionali a fare la storia, vite che raccontano un’epoca, che ce l’hanno scritta sulla propria pelle. E’ il caso della birmana Aung San Suu Kyi. La sua storia e quella del suo paese stanno per cambiare, scrivendo una pagina che rimarrà a lungo tra le più importanti della contemporaneità.
La donna, premio Nobel per la pace, imprigionata per anni dal governo birmano, oggi ha ottenuto 44 seggi su 45 e il 70% dei voti alle elezioni politiche. Le prime elezioni libere dopo 25 anni hanno espresso la loro voce, quella di un popolo intero che grida alla libertà attraverso il nome di San Suu Kyi. 15 anni da detenuta, di cui 7 ai domiciliari, oggi finalmente leader del paese per il quale ha sacrificato la propria vita.
Un paese per il quale ha rinunciato a sé stessa, agli affetti, alla libertà. Il marito è morto senza poter avere sua moglie vicino, segregata ai domiciliari, con i figli che non comprendono la sua scelta. Per una donna, una madre, la sofferenze che una scelta del genere e le sue conseguenze portano con sé è incommensurabile. Il dolore che la privazione continua degli affetti le ha portato può ora, forse, essere in minima parte riscattato.
San Suu Kyi ha dovuto scegliere se andare ad assistere il marito e non tornare più in patria o restare perdendo tutto. La scelta non è comprensibile agli occhi di tanti, ma il legame con la sua terra è stato più forte del resto; l’amore per il suo popolo, ora la sua famiglia, e la speranza che nessun altro dovesse fare quelle scelte che lei è stata costretta a fare, hanno avuto la meglio. La sete di libertà, di giustizia, di verità, di pace; parole che elencate in questo modo sembrano astratte, ma che di colpo diventano tangibili quando passano per esperienze e per scelte come questa. Improvvisamente questi concetti, nella maggior parte dei casi lasciati a sé stessi, vuoti, prendono forma sotto i nostri occhi.
Figlia del capo della fazione nazionalista del Partito Comunista, ucciso quando lei aveva due anni da avversari politici, cresciuta all’estero, San Suu Kyi arriva nel 1988 nel paese per assistere la madre malata e si trova coinvolta nelle rivolte per la democrazia, represse nel sangue dall’esercito.
Per la formazione del suo pensiero politico improntato sulla filosofia della non violenza, importanti sono state le influenze di Gandhi e Mandela. Diventa così il simbolo del movimento non violento fondando la Lega Nazionale per la Democrazia, ma il regime la relega da subito ai domiciliari. Già nelle elezioni del 1990 il suo partito ottiene la maggioranza dei voti, ma le elezioni sono invalidate e il potere mantenuto con la forza; così nel 2010 i partiti pro-militari corrono non ostacolati dall’opposizione che boicotta le elezioni per i domiciliari della sua leader. In questo modo la dittatura che dura dal 1962 può continuare.
Isolata dai suoi cari e impossibilitata ad abbandonare il paese, San Suu Kyi non ha smesso di lottare, nonostante gli arresti domiciliari prolungati varie volte per violazioni presunte. Non è mai capitolata, neanche dopo un attentato nel 2003 quando è stato aperto il fuoco contro un convoglio su cui viaggiava con molti sostenitori. Nel 2010 è stata finalmente liberata e nel 2012 ha potuto ritirare il premio Nobel assegnatole nel 1991.
La capofila del partito democratico ora invita alla prudenza, ad aspettare i risultati definitivi, ma i numeri dei seggi finora parlano chiaro.
Uno scenario quello del prossimo futuro che purtroppo rimane incerto: in base alla legge birmana i militari nominano il 25% delle camere e c’è un emendamento della costituzione che non permette a chi ha marito e figli stranieri di diventare Presidente.
La situazione del paese dunque resta critica e sempre in bilico, con pesanti tensioni interne tra etnie e tra il partito di maggioranza e la minoranza dei seggi destinata per legge ai militari.
La vittoria di San Suu Kyi è prima di tutto umana, simbolica; una vittoria della civiltà pacifica contro i soprusi della dittatura. E’ la donna che ha rinnegato sé stessa per il paese, che ha lottato silenziosamente, che ha convogliato tutte le sue forze per il suo popolo. E’ il primo passo, un passo enorme, per reindirizzare il futuro dell’ex Birmania, ora Myanmar.
Il Partito di Unione Solidarietà e Sviluppo guidato da Thein Sein ha dichiarato che accetterà il verdetto delle elezioni, come non era avvenuto nelle precedenti occasioni.
La rivoluzione di San Suu Kyi, inseguita per 27 anni, ora può iniziare:
“L’autentica rivoluzione è quella dello spirito, nata dalla convinzione intellettuale della necessità di cambiamento degli atteggiamenti mentali e dei valori che modellano il corso dello sviluppo di una nazione. Una rivoluzione finalizzata semplicemente a trasformare le politiche e le istituzioni ufficiali per migliorare le condizioni materiali ha poche probabilità di successo.”