Stalking. Intervista a Leonardo Abazia, psicoterapeuta e autore de “Il lato oscuro dell’amore”
di Emanuela Federici –
Quante volte abbiamo sentito dire “Ma lui lo fa perché è innamorato” alla nostra migliore amica? Quante volte abbiamo sottovalutato un comportamento dell’ex fidanzato di nostra figlia che all’inizio sembrava un semplice “Non posso rassegnarmi”? Una relazione finita che diventa morbosa e oppressiva non è mai frutto dell’amore genuino, quello sincero, che unisce e fa crescere. Perché a volte non è facile capire la sottile differenza tra le troppe attenzioni e i comportamenti oppressivi. A volte giustificarci con il nostro compagno che ci chiede perché ci abbiamo messo dieci minuti più del solito a tornare dalla palestra non ci sembra una cosa strana. Ci concentriamo sul forte desiderio provato, sull’insicurezza, su un legame particolare, su quel “non sono mai stato così geloso con le altre” che ci rende tanto orgogliose. L’obiettività, si sa, in amore non sa dire la sua.
Durante il convegno organizzato lo scorso 2 aprile dall’Associazione “ED Essere Donna”, però, è stato sottolineato dai vari relatori quanto l’attenzione dei media e l’opinione pubblica, sentendo parlare di questo argomento, si concentri sui delitti a sfondo passionale. Il termine stalking invece comprende una gamma molto più vasta di reati che si riscontrano anche negli ambiti quotidiani, come le vessazioni subite da un vicino o quelle in rete (cyberstalking). Ce lo spiega Leonardo Abazia col suo nuovo libro “Il lato oscuro dell’amore”. Psicologo, Psicoterapeuta e docente, lavora dal 1991 come Psicologo dirigente alla ASL di Napoli, dove affronta tutti i giorni problemi legati ai disagi dei minori e delle famiglie. Inoltre, nell’attività dell’Istituto Campano di Psicologia Giuridica che ha costituito nel 2003, organizza corsi di formazione, master in perizia psicologica per esperti del settore e effettua consulenze proprio in questo ambito. Il suo libro, diviso in tre parti, affronta il tema da diverse angolazioni, tentando di spiegare soprattutto ciò che tutti hanno difficoltà a comprendere, ovvero il punto di vista dello stalker e le motivazioni che spingono una vittima a non ritenersi tale, anche attraverso varie testimonianze.
Solitamente i volumi che trattano questo argomento hanno un approccio quasi puramente scientifico o di semplice testimonianza. Da dove nasce l’idea di scrivere un libro per tutti?
“Lei ha colto nel segno in quanto anche questo libro nasce come testo scientifico, è un testo che ha avuto diverse gestazioni e rielaborazioni. Solo successivamente, all’inizio di quest’anno, ho voluto trasformarlo in un libro di divulgazione che potesse essere fruibile anche dai non addetti ai lavori; per sensibilizzare l’opinione della gente comune al tema della sopraffazione e della violenza psicologica, che riguarda tutti anche se le vittime in percentuale riguardano maggiormente il genere femminile. La caratteristica è quella di essere divisa in più parti. Una raccontata in prima persona da un “generico” stalker, la seconda in cui si affronta il tema da un punto di vista storico, antropologico e psicologico, e l’ultima e terza parte nella quale vengono raccontate storie di stalking, diverse per genere e contesti, avvenute in Campania ed in Lombardia”.
“Il lato oscuro dell’amore”. Ci spiega la scelta di un titolo come questo che porta ad inserire il fenomeno dello stalking in un contesto che dovrebbe essere positivo e rassicurante?
“Il titolo potrebbe effettivamente portare ad un errore nel lettore in quanto il fenomeno dello stalking nulla ha a che vedere con il sentimento vero dell’amore. Il problema è che molte persone confondono il legame di attaccamento, investimento affettivo, con il possesso e con la gelosia. La cultura dominante prettamente maschilista tende a confondere i due fenomeni ed è quindi solo per raggiungere il lettore che è stato utilizzato questo titolo.
Anche se bisogna aggiungere che comunque, come in un folle amore passionale, anche nelle relazioni tra stalker e vittima vi è l’ossessività e la predominanza dell’oggetto investito che rappresenta il tutto al di là di ogni aggiornamento razionale”.
Lei collaborava con il Ministero della Giustizia. Molti casi, per scelta delle vittime o per poca rilevanza, non vengono divulgati dai media. Quali sono le statistiche effettive di questo fenomeno?
“La mia collaborazione con il Ministero della Giustizia, durata 28 anni, si ferma nel 2009. Ora mi occupo del fenomeno sia come Presidente dell’Istituto Campano di Psicologia Giuridica che in qualità di psicologo dell’ASL Napoli 1 Centro. Chiaramente nei differenti contesti ci occupiamo dell’evento in fasi e con motivazioni diverse. I numeri e le statistiche del fenomeno possono essere lette sui dati del Ministero degli Interni, ma sono dati in crescente aumento e vedono sempre più spesso una percentuale troppo alta di vittime tra le donne, in particolare ex partner, che rappresentano il 70% dei casi. Mentre nell’altro 30% ritroviamo persone celebri, professionisti dell’aiuto (medici, psicologi, avvocati, assistenti sociali), colleghi di lavoro e uomini”.
Di solito si tende ad associare lo stalking al femminicidio. Quanti casi, invece, vedono come vittime degli uomini? E perché, secondo lei, non se ne parla?
“E’ un errore comune confondere lo stalking con il femminicidio, prova ne sono i casi come l’ultimo omicidio avvenuto due giorni or sono in cui il marito ha ammazzato moglie e figlioletto di pochi mesi e ha dato loro fuoco. Spesso quello che viene inteso come femminicidio è l’espressione più violenta ed efferata del potere del maschio sulla donna che non sempre passa attraverso una separazione della coppia, ma è quasi sempre figlia di precedenti soprusi e maltrattamenti. Il fenomeno dello stalking è legato invece ad una sorta di hybris, all’arroganza di voler vincere a tutti i costi, arroganza di chi non può permettersi di ricevere un rifiuto. Io lo legherei a quanto detto secoli fa da Aristotele nella “Poetica”, quando egli parlava di tracotanza, eccesso, superbia, orgoglio e prevaricazione; tale concetto indicava una tipologia di reato o anche un affronto di una certa gravità pur senza definire un’azione precisa; una hybris è un’azione delittuosa compiuta con lo scopo di umiliare il cui movente è rappresentato dall’arroganza e dal piacere ottenuto attraverso la sopraffazione della vittima. Quindi un’azione di stalking è quasi sempre perpetrata da un soggetto verso un altro (vittima) con lo scopo di imporre la propria volontà. E’ chiaro, quindi, che in questi termini lo stalker può essere anche una donna, verso un uomo, una famiglia verso un’altra famiglia o una donna verso un’altra donna. Da un punto di vista statistico possiamo di certo dire che lo stalking femminile, messo in atto da donne, rappresenta una percentuale inferiore a quello maschile. Si parla di un range che va tra il 2 ed il 13% a seconda del Paese nel quale si sono effettuate le ricerche. Spesso le donne stalkerizzano altre donne e più raramente gli uomini. Il fenomeno nei confronti degli uomini è, inoltre, poco percepito dalla vittima maschile che, per condizionamento culturale, da un lato lo legge in modo lusinghiero come innamoramento e passione dell’altra persona, mentre quando il pericolo diventa più evidente subentra una sorta di vergogna nel rappresentarsi come vittima. I risultati delle ricerche suggeriscono che gli uomini potrebbero non essere propensi a presentarsi come vittime in un contesto pubblico formale o nei pubblici uffici anche per il timore di non essere creduti e non essere presi sul serio”.
A volte prendere coscienza dell’anormalità di un rapporto di coppia o di alcuni comportamenti può essere molto difficile. Quali sono le prime avvisaglie di questo problema?
“Parlando della relazione vittima-stalker andrebbe chiarito che esistono più tipi di rapporto derivanti dalla relazione precedente con il persecutore, dalle caratteristiche della vittima, dalle motivazioni dello stalker ed anche dalle sue caratteristiche psicologiche. Se parliamo del rapporto tra ex-partner, dove lo stalker è spesso quello di sesso maschile che non accetta di essere respinto e\o abbandonato, allora potremmo anche abbozzare una tipologia, ma ciò solo a scopo esemplificativo. Questo tipo di stalker viene classificato come il “rifiutato”; la motivazione primaria che lo spinge può essere la riconciliazione con la vittima oppure la vendetta e a volte egli porta avanti entrambi gli obiettivi passando dall’uno all’altro a seconda del momento e\o del contesto. Questa tipologia è ritenuta una delle forme più persistenti. La persona rifiutata ha consapevolezza del fatto che le minacce, le insistenze, i pedinamenti e le rappresaglie hanno l’effetto di peggiorare il rapporto con l’oggetto amato, tuttavia non desiste, anzi dà vita ad una sorta di escalation. Inizialmente è difficile differenziare il comportamento di uno stalker da quello di una persona lasciata dal partner e quindi i tentativi continui di avvicinamento e di approccio all’ex possono essere confusi con un semplice tentativo di recupero della relazione. Il problema consiste nella differente lettura che ne danno i due contraenti: la vittima crede che chiarendo riuscirà a far comprendere all’altro le proprie ragioni per la separazione, mentre lo stalker interpreterà tali segnali come segnali di vicinanza e di affetto. Quindi ciò che una vittima deve fare è quello di non rispondere alle varie ricerche di contatto, né di persona né tramite altri mezzi. Nel caso di situazioni di pericolo dovrebbe inoltre cambiare percorso, cercare di non frequentare sempre gli stessi luoghi ed in casi estremi farsi accompagnare e chiaramente denunciare l’accaduto”.
Parlando di cyberstalking, cosa consiglia ad un genitore che si trova ad affrontare una problematica del genere col proprio figlio? A chi si può rivolgere?
“È una forma di stalking sviluppatasi soprattutto negli ultimi anni a seguito dello sviluppo progressivo delle tecnologie. Si avvale infatti di internet, posta elettronica ed altri dispositivi e del mondo virtuale in genere per importunare l’altro. Il tipo di diffamazione che può avvenire nella rete passa attraverso la creazione di pagine web, blog, siti indirizzati al danneggiamento della reputazione della vittima o anche alla diffusione di dati diffamanti nei forum online. Spesso la raccolta di informazioni avviene attraverso la violazione degli ambienti sociali privati, facebook, mainling-list, chat frequentate dalla vittima. Lo stalker che aggredisce nella rete presenta prevalentemente un “attaccamento del tipo insicuro-ambivalente”, che è presente anche nello stalker che si muove nel reale. L’unica differenza risiede nella forma d’agito contro la vittima.
Nel caso del cyberstalking comunque possiamo dire che stalker e vittima condividono quasi sempre uno spazio d’azione comune nell’uso del virtuale, entrambi sono i fruitori di internet o dei meccanismi elettronici di cui si serve la comunicazione vessatoria; infatti raramente troviamo uno stalker che utilizza un campo d’azione non frequentato dalla preda.
In termini di prevenzione è sicuramente importante non confondere un senso di intimità reale con quello artificiale mediato dai social e porre attenzione ai rischi relativi ad una privacy sempre più violata e ad una condivisione massiccia di informazioni personali, alla mercè di chiunque sul web; bisognerebbe quindi rafforzare la propria privacy e tenere al sicuro e private le proprie password in primis.
Caso diverso, invece, è quello dei cyberpraticanti (che coltivano la relazione anche al di fuori della frequentazione in rete) e dei cyberconoscenti (che coltivano la relazione solo all’interno della rete) in cui il fenomeno considerato si caratterizza per una messa alla berlina degli aspetti intimi di una relazione. In questo caso il molestatore dispone degli accessi più intimi e segreti che fino a poco tempo prima condivideva con la stessa vittima. Qui il pericolo è estremo, gli elementi più segreti di condivisione dei due vengono messi alla mercé di tutti ed il fenomeno ha in sé un potenziale destrutturante molto elevato in quanto assistiamo ad una vera e propria spoliazione della vittima. Gli adolescenti, ma non solo loro, dovrebbero capire che tutto ciò che viene messo in rete “non va mai perso”, può essere sempre presente, recuperato; ed è come se venisse annullata la possibilità di dimenticare, come se venisse annullato l’oblio.
Per concludere riprenderei la sua prima domanda: lei mi chiedeva cosa c’entra l’amore con lo stalking. L’amore è l’ultimo sentimento che si può ritrovare in una relazione che viene attivata e/o tenuta in piedi da un molestatore assillante. L’arroganza di vincere a tutti i costi, il voler ottenere ciò che si vuole anche contro la volontà dell’altro, nulla ha a che vedere con il sentimento nobile dell’amore“.