Un libro, uno scrittore, un ricordo. “La vita bassa” di Alberto Arbasino
Di Cora Craus –
“La vita bassa” di Alberto Arbasino. Da questo delizioso libretto, 112 pagine di piccolo formato, abbiamo scelto alcuni brani che “parlano” del territorio pontino.
“Tra Formia e Fondi e Gaeta e Sperlonga e Terracina e Sabaudia e Norma e Ariccia – e le intriganti scritte locali di porno bomber, Italporket, [.] – forse per qualunque ex-opinionista post-salottiero non sarà facile acchiappare sentori antropo-elettorali quick.”
“I coloni romagnoli portati qui dal Duce come reduci bellici di Carso e Grappa e Piave e Isonzo per bonificare le paludi coi borghi omonimi in vista delle mozzarelle e serre di primizie, fra i resti dei “razionalismi d’avanguardia” e delle “vedevo di guerra”…”
“…Qui dove le facce tipicamente e storicamente “littorie” appaiono bi millenarie e archetipiche, così come l’ormai biasimato “body language” col palmo levato o pugno chiuso o avambraccio flesso, evidentemente ancestrale dalle comunità megalitiche ai motoscafini di San Felice. E così, sulla piazza di Sabaudia, “tutti fascistoni” o “tutti fighetti”.”
“La vita bassa” un piccolo e corrosivo “libretto” dove sono esaltati senza soluzione di continuità la tematica e lo stile della prosa arbasiana.
Lo stile di Alberto Arbasino ha rappresentato un momento importante nella letteratura italiana del dopoguerra “nella sua scrittura – enuncia La Nuova Letteratura – la vis’ polemica e satirica, la decisa rottura della forma narrativa tradizionale e l’adozione di uno stile tra il narrativo e il saggistico, improntato “alla chiacchiera” salottiera e colta. Ha dato nuova impronta, nuova linfa al linguaggio”. Una stilistica cui l’autore è rimasto sempre fedele.
“La vita bassa”, (ed. Adelphi – pag 112 – € 5) titolo dall’ambiguo significato: vita bassa come low profile, in altre parole un invito a riscoprire un’eleganza di modi e di contenuti del tempo che fu, e la stessa tematica letteraria dell’autore, dalle sue prime pubblicazioni fino a quest’ultimo lavoro, racconta di quella mitica età dell’oro fatta di educazione e correttezza che a guardarla da vicino non è mai veramente esistita. “La vita bassa” anche come constatazione di una moda che Arbasino interpreta quale metafora della vita di oggi “E, se la vita bassa, per i prossimi Lèvi-Strauss, diventasse un Segno antropologico tribale ed elettorale non solo giovanile, in un Musée de l’Homme con foto di addomi e posteriori aborigeni di fronte e di profilo?… O non diventerà una metafora, nella pubblicistica ‘easy’ satura di cose che sono metafore di altre cose, dai nostri tempi alla condizione umana, a tutto?”.
Di prima impressione, per chi non sia “un intimo lettore “ di Arbasino, il libro può apparire come un sarcastico elenco di parole, di termini in voga in questi ultimi quarant’anni, il cui unico punto d’unione è una gradevole assonanza fonetica. In realtà “La vita bassa” è un corrosivo, perdonatemi la banalità del termine, divertente saggio di politica e costume.
Il libro è suddiviso in tre parti la prima intitolata “Primavera 08”, inizia con una composizione di Giosuè Carducci tratta da “Faida di Comune” e, da essa parte tutta una rievocazione al vetriolo degli anni tra l’ottocento e il novecento che portano in loro la cifra otto, il 48, il 68, il 78 e cosi via. La seconda parte titolata “Memorial” è la parte del libro che più mi ha affascinato, qui Arbasino cede la parola a uno stuolo d’intellettuali, di ogni latitudine e orientamento, sul tema dello scrivere negli anni sessanta. Con “2008/ al deposito” si chiude il libro, e si chiude in uno scorrere convulso, dove trovano posto, apparenti ‘non sense’, riflessioni e citazioni, ma vi è anche la dimostrazione di come l’uso di termini abusati, consunti, modaioli o semplicemente datati, una mente brillante possa rigenerarli in un linguaggio nuovo, ridargli valore e attualità.