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Violenza sulle donne, “…ma sì, in fondo era stata fortunata (?)

di Alga Madìa –

La foresta non conosce zone protette, lo sapeva … cominciò a pregare in silenzio perché qualcuno la aiutasse. Non aveva altro con se. Non poteva altro. Fu allora che forse qualcuno la ascoltò, forse le accarezzò dolcemente i capelli più volte e quella mano forte sulla sua testa la rilassò fino a farle chiudere gli occhi, che nonostante il buio fitto, continuavano a restare sbarrati per il terrore. Forse “Qualcuno” provò finalmente pena, forse svenne, forse cadde in un sonno profondo. Ora un raggio di luce, flebile e delicato, filtrava attraverso gli alberi fitti fitti. Si posò sulle sue gambe nude e sporche di terra, di fango, di sangue. Calore misto a dolore su di una gamba. Non riusciva ad aprire gli occhi, era caduta in un sonno profondo che la allontanava dalla realtà.

Trasalì mentre contemporaneamente ritrasse le gambe, come a raggomitolarsi per occupare meno spazio possibile, per proteggere sé stessa. Un grido di dolore per quel movimento, le uscì istintivo, contemporaneamente la paura di attrarre qualcuno, le fece portare subito una mano alla bocca, come per voler zittire se stessa. Un cane le era venuto vicino e si era sdraiato accanto alle sue gambe e le aveva leccato il viso fino a svegliarla. Ora la guardava, mansueto e incredulo per essere stato causa del suo urlo, come se l’avesse capito. Era rimasto fermo, immobile nella stessa posizione, praticamente parallelo alle sue gambe mentre muoveva solo la coda, in segno di offerta di aiuto, di amicizia.

Il sole pallido le rendeva tutto più chiaro e quel cane sembrava un miracolo, lo avrebbe scoperto più tardi, qualche ora dopo. Non sapeva cosa fare, era grande ed aveva il pelo lucido, pulito, come se non fosse un abitante di quel luogo. Intorno a lei solo alberi di tutte le specie. Lei non sapeva riconoscerle, ma si rendeva conto che i tronchi erano diversi fra loro. E pure le foglie. Impietrita sotto un gigantesco tronco non aveva più avuto il coraggio di muoversi. Era immobile, ma non aveva più paura: rassegnazione forse, come quando tutto si è compiuto. E poi, quel cane non le sembrava nemico. “Ehi!” gli disse. E lui capì, perché il movimento della sua coda si fece più rapido. Si alzò e le andò più vicino, ancora verso il viso e cominciò a leccarla dappertutto. Lei si riparò un po’ con le mani, ma una le faceva davvero male e la parte interna era graffiata, sanguinante dai tentativi di proteggersi in quelle lunghe ore appena trascorse. Quanti uomini quella notte l‘avevano immobilizzata, abusato di lei, violentata selvaggiamente? Animali, bestie, un numero indefinito.

Non riusciva a pensare molto: nel freddo delle prime ore del mattino nella foresta, l’unico calore che sentiva era quello delle lacrime che le scendevano abbondanti sul viso. Non riusciva ad alzarsi, ma doveva farlo. Senza forze, sfinita, stremata.

– Perché non sono morta?- Il cane al contrario sembrava sollecitarla ad andare via di là. Riuscì a trovare finalmente e con fatica una posizione verticale. Provò, con quel minimo di pudore che l’umiliazione subita aveva annientato, a tirar giù quella che era stata la sua gonna. Una gonna di seta beige, quasi color bronzo chiaro, fluida e larga al fondo, ma aderente dal punto vita ai fianchi. Brandelli di stoffa ormai, macchiati di sangue e fango. il cane la guardava, non la perdeva di vista un solo attimo. Zoppicava un po’, trascinava leggermente il piede sinistro. Si affidò a quel cane sconosciuto, l’unico essere che le sembrava umano. Lui la stava forse riportando dove la notte prima la sua auto era rimasta in panne? Mentre camminava sentiva colarle sulle cosce tutta la brutalità che quelle bestie erano riuscite a riversarle dentro. Una sensazione che aggravava il suo stato di prostrazione.

Camminando a fatica, pensava a quante offese aveva ricevuto nella sua vita. Ma le offese nella maggior parte dei casi danno la possibilità di reagire.

L’umiliazione, questa umiliazione, sarebbe rimasta, nella sua mente e nella sua anima, impressa come il marchio agli ebrei quando entravano nei campi di concentramento: indelebile.

Cominciò a sentire in lontananza il rumore di qualche automobile. Avrebbe voluto accelerare il passo ma al contrario qualcosa la rallentava. Aveva vergogna, pudore di mostrare a quel mondo pulito e ordinato, che aveva riposato tutta la notte e magari fatto l’amore, la faccia e il corpo di una donna violentata.

Ma lei è ferita, oddio, ma che le hanno fatto? La porto subito in ospedale, vedrà, tra poco starà meglio!” Emma non parlava, la bocca piena di lividi le faceva un male atroce. “Signorina, mia, ma perché ve ne andate in giro di notte? Io lo dico sempre a mia figlia …. Beh, comunque, le posso dire una cosa? Lei è stata fortunata. Si, perché questi balordi a volte, quando fanno quello che devono fare, alla fine le ammazzano pure, quelle povere ragazze. Ha visto quante volte succede?”

Ascoltava o forse no, lacrime e lacrime uscivano dai suoi gonfi occhi verdi e scendevano giù, lentamente, copiose, fino al collo. Con un fil di voce riuscì solo a dire “E’ vero, sono stata fortunata”.

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Giovanni Del Giaccio, giornalista...e scrittore

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