Peshawar: la strage colpisce l’innocenza.
di Alga Madìa
Erano bambini, di Peshawar, figli di membri dell’esercito. Erano ignari di ciò che da lì a poche ore sarebbe successo loro in quella scuola, dove le mamme li avevano accompagnati la mattina e dove loro si sentivano come a casa. Erano in 500 ieri mattina in quell’istituto. In più di 130 (140 i morti in totale) hanno perso la vita, per mano di talebani appartenenti alla sigla Ttp (Tehreek-e-Taliban Pakistan) che hanno voluto rivendicare con questo folle e criminale gesto, un attacco da parte dall’esercito pakistano contro i miliziani del Nord Waziristan.
A rivendicare questa follia Mahammed Umar Khorasani che ha detto “Vogliamo che provino lo stesso nostro dolore, il governo sta prendendo di mira le nostre famiglie, le nostre donne. E’ solo un trailer questo, non ci fermeremo”.
Sono stati “prescelti” inizialmente i bambini più alti, perché l’ordine era di non colpire i bambini piccoli. Da una fonte militare si sa che in nove hanno fatto irruzione nella scuola e pare che qualcuno di loro abbia cosparso uno degli insegnanti di benzina e costretto i bambini a guardarlo mentre moriva. Unanime, dal mondo, la condanna per l’attentato tra cui il nobel per la pace 2014 Kailash Satyarhi e l’attivista Mala Yousafzai che nel 2012 ha rischiato di morire proprio per mano di appartenenti al Ttp.
Quando la vita di un bimbo si spegne per mano di un adulto sentiamo che quella vita aveva più importanza di quella di un grande, sentiamo forte un senso di rabbia, di impotenza.
140 è un numero altissimo, pure se parlassimo di caramelle e invece erano bambini innocenti. Bambini trai 6 e i 16 anni che sono morti senza capire perché, che avranno invocato inutilmente l’aiuto della mamma, della maestra, ma che non sono stati ascoltati da chi in quel momento decideva della loro vita.
Non erano stati ancora capaci di nessuna cattiveria e si affacciavano al mondo: non avranno mai più la possibilità di giocare, di studiare, di crescere, di amare.