Artemisia Gentileschi, la pittrice diventata un simbolo per le donne di ogni epoca
Alcune donne assumono nell’immaginario comune una particolare rilevanza, che si riflette nelle numerose opere dedicate e nell’interesse che la vita e le opere del soggetto in questione possono richiamare in epoche diverse.
E’ il caso di Artemisia Gentileschi, pittrice figlia del pittore Orazio Gentileschi, che vive nella prima metà del XVII secolo, in piena epoca rinascimentale. Non è stata certo la prima donna votata alla pittura, ma il suo nome arriva forte fino ai giorni nostri per l’intensità della sua esperienza di vita e per la risoluta volontà di perseguire una sua indipendenza contro le mode del tempo.
Oggi sono tantissime le associazioni, le comunità femminili che si ispirano alla pittrice, che ne prendono in prestito il nome e che ne accrescono la fama e la notorietà.
Sembra quindi opportuno soffermarsi a capire chi era Artemisia, e perché significa così tanto per la causa femminile.
Gli inizi artistici si collocano alla precoce età di 16 anni, sotto gli influssi di Caravaggio che in quegli anni lavorava proprio a Roma. Lavorava principalmente nella bottega del padre, in un periodo nel quale era proibita la formazione artistica per le donne.
Un evento decisivo segna la vita di Artemisia per sempre, lo stupro subito da Agostino Tassi, collaboratore del padre, all’età di 18 anni. Il processo che segue diventa un passaggio fondamentale per la rilettura in chiave moderna della pittrice: dai documenti conservati, colpisce il resoconto fornito dalla vittima per i dettagli impietosi, così come colpisce la crudeltà dei metodi di tortura per far cadere le accuse usati normalmente all’epoca. Il processo la allontana da Roma, alla volta di Firenze, dove, da un matrimonio combinato, ha 4 figli e ottiene il privilegio di essere la prima donna ammessa alla Accademia delle Arti e del Disegno. Il successo piano piano sembra andare a favore di Artemisia, anche se da donna le sono sempre precluse le commesse religiose e le pale d’altare, ad eccezione di quelle nella maturità per la cattedrale di Pozzuoli. La forza espressiva che il suo linguaggio pittorico assume quando i soggetti rappresentati sono le famose eroine bibliche, sta a manifestare la ribellione alla condizione in cui le condanna il loro sesso in quegli anni.
Il dipinto Giuditta che decapita Oloferne, prodotto in due versioni che presentano lievi differenze, ma costanti nella violenza del gesto raffigurato, è forse la sua opera più conosciuta; una versione è conservata nel museo Capodimonte di Napoli, l’altra negli Uffizi a Firenze. Di evidente influsso caravaggesco, l’opera è stata dipinta poco dopo lo stupro subìto, e mostra tutta la voglia di vendetta, incarnata nel gesto deciso e senza rimorsi di Giuditta.
In un saggio contenuto nel catalogo della mostra “Orazio e Artemisia Gentileschi” svoltasi a Roma nel 2001, Judith W. Mann mostra tuttavia i limiti di una lettura dei lavori di Artemisia in chiave strettamente femminista:
« [Una lettura di questo tipo] avanza l’ipotesi che la piena potenza creativa di Artemisia si sia manifestata soltanto nel raffigurare donne forti e capaci di farsi valere, al punto che non si riesce a immaginarla impegnata nella realizzazione di immagini religiose convenzionali, come una Madonna con Bambino o una Vergine che accoglie sottomessa l’Annunciazione; e inoltre, si sostiene che l’artista abbia rifiutato di modificare la propria interpretazione personale di tali soggetti per adeguarsi ai gusti di una clientela che si presume maschile. Lo stereotipo ha avuto un doppio effetto restrittivo: inducendo gli studiosi sia a mettere in dubbio l’attribuzione dei dipinti che non corrispondono al modello descritto, sia ad attribuire un valore inferiore a quelli che non rientrano nel cliché »
La centralità della sua figura la dimostrano anche le numerose opere letterarie a lei dedicate: Anna Banti con “Artemisia” è un dialogo immaginario con la pittrice, in forma di diario; Alexandra Lapierre con un altro romanzo dallo stesso titolo, contenente uno studio scrupoloso della vita della pittrice, tra la sua vita privata e artistica, come sottofondo il rapporto controverso con il padre; “La passione di Artemisia” invece è un romanzo di Susan Vreeland sempre in una rilettura in chiave femminista.
A volte la lettura di genere può deviare l’attenzione dal talento puro di questa artista, che ha prodotto delle opere degne di studio e attenzione, ma una vita come quella che ha vissuto, romanzata e ricca di spunti, non può che far parlare e essere presa come esempio di indipendenza, sia nel lavoro che si è scelto, sia nella vita personale nonostante i torti subiti.