Diario di una donna di Sibilla Aleramo. L’emancipazione femminile oltre un secolo fa.
di Cora Craus –
“Diario di una donna” di Sibilla Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio, testimonia l’intima e personale lotta di far vivere una “sorellanza”, una libertà e autonomia femminile non contrapposta, non in “odio al maschile”. Ed è proprio questo modo d’intendere l’emancipazione femminile, oltre un secolo fa, che rende di estrema attualità gli scritti di Sibilla Aleramo. Dopo gli avvenimenti di Colonia in Germania, in un momento terribile come questo per il mondo femminile, può sembrare assurdo riportare l’esortazione di una scrittrice del secolo scorso a non odiare il maschile.
Oggi più di ieri riteniamo che si debbano inchiodare gli individui, le persone come tali, alle loro responsabilità, ai loro reati e non confonderli in una generica, seppur giusta, lotta di genere.
Sibilla Aleramo ha vissuto su di sé la violenza maschile sia sessuale da ragazza e perpetrata nel matrimonio sia sociale da parte di una società patriarcale e intrinsecamente violenta.
Sfogliando le pagine dei suoi libri è tornata viva, prepotente, ipnotica la dimenticata fascinazione che accompagnò la lettura dei suoi libri.
Nei suoi scritti convergono una grande profondità di pensiero, più ancora d’Ideali, a cui – a tratti – fa da contraltare uno stile quanto mai “gossipparo”.
Ciò appare particolarmente vero per “Diario di una donna – scritti inediti 45-60” (ed. Feltrinelli pag. 488). Nelle cui pagine incontriamo annotazioni che coinvolgono anche illustri personaggi pontini, a volte tratteggiati con vero affetto, come Libero De Libero, il poeta fondano, Pietro Ingrao, il politico-intellettuale di Lenola.
In questo libro abbiamo scoperto l’amore dell’autrice per la nostra terra che andava al di là dell’impegno sociale, che pure vi profuse senza risparmio, infatti, vi è riportata una lettera in cui chiede aiuto a Togliatti per poter scrivere “un ultimo gruppo di liriche” e finire la sua vita in un luogo incantato della nostra provincia: Capo Circeo.
Di sicuro, gli scritti di Sibilla Aleramo coinvolgono ideologicamente ancora oggi per la loro imprevedibile modernità con cui affrontano e rappresentano il tema dell’autonomia e dell’impegno politico delle donne.
Questo, “Diario di una donna” è un libro in cui emerge, forse più ancora che nei suoi romanzi, tutto il travaglio interiore vissuto per approdare alla consapevolezza della propria dignità sociale e culturale. E’ una lettura che provoca una profonda e osmotica fusione in cui si riconosce la fatica del vivere “l’inutile eroismo quotidiano”.
Tra le pagine del libro, in filigrana, fra l’ordito delle sue parole, forte, inattaccabile, indistruttibile come un filo d’acciaio temperato vi traspare tutta la sua vitalità, il suo profondo amore per la vita, per le persone “amo, l’umanità tutta quanta nel suo presente e nel suo divenire”; la sua volontà di contribuire al formarsi di una società intellettualmente libera.
Riportiamo un documento storico: la richiesta, un brano, della lunga lettera con cui Sibilla Aleramo, chiedeva l’adesione al Partito Comunista Italiano, adesione che fu accettata per acclamazione al congresso del partito nel gennaio 1946.
“Chiedo l’iscrizione al partito.
La mia adesione mi vien dettata dalla coscienza di compiere un dovere, e insieme rappresenta per me come il coronamento della mia vita di scrittrice e di donna. Tutta la mia opera di quarant’anni è stata ispirata dalla fede in un più giusto e più umano avvenire della nostra specie: della nostra specie tutta quanta, uomini e donne di tutta la terra. Ho lavorato fin dalla prima giovinezza, non soltanto per la redenzione della femminilità, per l’affermazione di un’autonoma spiritualità femminile, ma anche perché il popolo venisse elevato a un’esistenza degna, fosse fatto partecipe di un benessere e di una cultura creatori di una civiltà non fittizia: di quella civiltà che non s’è mai potuta realizzare appunto perché la grande maggioranza è sempre stata esclusa dal collaborarvi.”