La pazza gioia, Virzì affronta il disagio mentale e l’amicizia al femminile
Di Marina Bassano –
Paolo Virzì torna al cinema dopo Il capitale umano con La pazza gioia, film ambientato nella sua Toscana, tra Livorno, Viareggio e Montecatini.
La forza e lo spessore dei personaggi femminili del film regge l’intero impianto narrativo, e non stupisce che storie del genere abbiano al centro due donne e traggano forza dal loro vissuto, per la passionalità con cui ci trasportano nel loro mondo distrutto e ne fanno qualcosa di bello, qualcosa che solo grazie al supporto di un’altra donna può diventare tale. Il legame che unisce le due protagoniste è un qualcosa che è difficile immaginare trasposto sul piano maschile.
L’interpretazione decisamente all’altezza delle due protagoniste è il valore aggiunto del film: Valeria Bruni Tedeschi è totalmente a suo agio nelle vesti di una donna ricca in preda a facili scatti d’ira, mitomane, che si comporta come se non fosse ricoverata in un istituto, come a prendere le distanze e a rinnegare il male che le è stato fatto e che ha procurato a sua volta, chiudendosi dentro la sua ampolla di vetro tramite una tenda velata che divide la sua camera dalle altre malate.
In questa ampolla entra però Micaela Ramazzotti , forse un po’ troppo “sfruttata” nel suo dialetto toscano in questo come in altri film, che rende però splendidamente la madre depressa a cui è stato tolto il figlio che ha cercato di portare in fondo al mare insieme a lei in un suicidio a due.
Il contesto della condizione degli istituti psichiatrici non viene esaminata troppo a fondo, restando un po’ fuori fuoco, con Villa Biondi che mostra pochi aspetti assimilabili al reale; la parte da padrona la recita la storia delle due donne, insieme nonostante le diversità e nonostante la sofferenze che si alleviano in quelle dell’altra, nel loro stato a tratti onirico come molti aspetti del film, lontano dal reale, ma in fondo sorprendentemente cosciente di quello che stanno vivendo.
C’è spazio per un omaggio a Thelma e Louise, con relativi abiti e macchina d’epoca, prima di un finale che lascia un senso di positività facilmente prevedibile.
Le battute ironiche messe al posto giusto e la lontananza dalla retorica, in cui si poteva facilmente cadere, sono elementi che fanno del film di Virzì un buon women movie, che ci racconta la fragilità e al tempo stesso la forza di chi cerca di lottare con sè stesso, prima che col mondo intorno, per stare meglio.