Femminicidi a Latina: Rosaria Lopez da vittima a simbolo di lotta
di Cora Craus –
Un femminicidio storico, nella provincia di Latina, è stato quello di Rosaria Lopez avvenuta a San Felice Circeo. Leggendo gli atti del processo si rimane annichiliti dalle mostruosità che riuscirono a perpetrare quei carnefici, forse, paragonabili solo alle torture di ispirazione nazista. Il delitto del Circeo fu il primo reato di femminicidio riconosciuto in Italia.
“La strage del Circeo detiene due tristi primati: fu sicuramente uno dei primi casi di violenza di gruppo e fu un omicidio caratterizzato da una fortissima componente misogina e da una altrettanto forte influenza di classe, – scrive il sito “GENERAZIONE…un altro genere di comunicazione” – peraltro allegramente rivendicate dai tre assassini dopo l’arresto”.
Ma “storico” davvero fu il processo che si svolse a Latina a partire dal 30 giugno del 1976. Consigliamo di leggere il libro del Centro Donna Lilith di Latina “Luglio 1976…Le donne raccontano”, per capire il grande valore, il portato politico, umano, legislativo che ha innescato da noi, in Italia, la protesta e l’indignazione per quel reato, il cui riverbero si fa sentire forte e chiaro ancora oggi e che forse ha contribuito e contribuisce a rendere Latina culturalmente e concretamente, la città meno cruenta, in fatto di femminicidi, della Regione, e, perdonate il nostro campanilismo, care lettrici e lettori, una delle città più attive, aperta e disponibile nei confronti della lotta per la sconfitta della violenza sulle donne.
Dal succitato libro due brani, due testimonianze dell’epoca del processo. “Nei mesi precedenti all’avvio del processo, le donne di Latina si tengono costantemente informate sugli aspetti giuridici del processo: anche su questi temi vogliono arrivare pronte al processo. Alcune, in particolare, leggeranno una parte degli atti processuali, informandone successivamente le altre donne del gruppo”. Dall’intervista di Donatella Trentin per il giornale Donna Moderna, una testimonianza di Donatella Colasanti, l’amica di Rosaria Lopez rinchiusa con l’amica morta nel porta bagagli della macchina e trascinata fino a Roma: “Ho affrontato un processo a porte aperte. Ricordo l’avvocato di Izzo che diceva: “I tre giovani non volevano uccidere la Colasanti. L’hanno colpita in testa ma non è uscito neanche un po’ di cervello”. Io gli ho urlato: “Zitto! Non si permetta di parlare così”.
La violenza delle parole pronunciate dall’avvocato mettono i brividi pur riconoscendogli il difficile l’ambito in cui agiva, una realtà banale e lapalissiana: era uno degli avvocati del collegio difensivo dei tre mostri del Circeo.
La “morte per femminicidio”, noi, l’abbiamo immaginata come l’estrema violenza alla intimità fisica e mentale, la distruzione di quello che comunemente chiamiamo anima. Così ben descritta dalle parole della scrittrice Laura Scanu nel suo libro “Il dolore del Tiglio”. “Una fessura nel cranio lascia uscire liberi tutti i miei pensieri anche quelli più intimi; i miei segreti sembrano catapultati fuori con la materia e col sangue depositatosi ovunque”.