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Igiaba Scego, “Adua”

 

di Cora Craus –

Immigrazione, Somalia, colonialismo, fascismo, riscatto, anni settanta, emozioni, dignità, sentimenti calpestati ma mai veramente vinti. Sono i temi cari ad Igiaba Scego. Temi che tratta con profondità e leggerezza nel suo nuovo romanzo “Adua” (ed. Giunti – pag.183 – € 13)

“Ti ho dato il nome della prima vittoria africana contro l’imperialismo. Io, tuo padre, stavo dalla parte giusta. E non devi mai credere il contrario. Dentro il tuo nome c’è una battaglia, la mia…”

Un romanzo a due voci, quella di un padre, Zoppe, e di una figlia, Adua, che indaga il loro rapporto impossibile e lo fa seguendo tutte le loro luci e le loro ombre. Ma alla fine Adua è soprattutto il racconto di un sogno, quello della libertà che ha consumato in modo diverso e in tempi diversi le vite di entrambi.

I personaggi creati da Igiaba Scego sono carichi di un’inquietudine penetrante e distruttiva permeati da atavico simbolismo. Incisivo il ritratto femminile che si dibatte tra l’anelante e consapevole desiderio di libertà, di emancipazione e la dura realtà fatta di dolorose e umilianti tradizioni; realtà resa più amara, difficile dall’ingannevoli e crudeli illusioni portate dal colonialismo.

“Adua è oggi una donna matura e vive a Roma da quando ha diciassette anni. È una Vecchia Lira, così i nuovi immigrati chiamano le donne giunte in Italia durante la diaspora somala degli anni settanta. Ha da poco sposato un giovane richiedente asilo sbarcato a Lampedusa e ha con lui un rapporto ambiguo, complicato. Non a caso lo chiama sempre Titanic…” (quarta di copertina).

Qualcuno vede nell’antico colonialismo la radice dei mali moderni, di quest’attuale esodo di migranti, forse, non abbiamo gli strumenti culturali idonei per affermare o confutare una simile tesi. Viene da riflettere, così, con parole in libertà, che in Africa è mancata e ancora manca l’equivalente di quella terribile e grandiosa conquista avvenuta in Europa nel 1789, la rivoluzione francese. Certo fu piena di errori e di orrori, eppure ancora oggi è pietra miliare di ogni civiltà autenticamente laica. Per l’Africa, come lo è stato e lo è per il resto del mondo, la strada della loro libertà non potrà che essere una rivoluzione autoctona. La coscienza del valore dell’uguaglianza, del rispetto dei diritti umani, della protezione dell’infanzia, dell’emancipazione femminile, vero banco di prova di riuscite o fallite rivoluzioni, sono conquiste, sono il risultato di un lungo, doloroso e “libero” cammino.

Igiaba Scego è considerata una delle scrittrici italiane che meglio interpreta, col suo stile asciutto, spartano vagamente ispirato al neorealismo letterario e cinematografico, il paesaggio, i sentimenti di forza, di attesa, di rabbia, di ribellione, di libertà e rassegnazione dell’Africa.

Bello, simbolico e carico di forza evocativa l’escamotage letterario del lungo dialogo, tutto il romanzo, di Adua che racconta e si racconta ad uno specialissimo amico: l’elefante marmoreo del Bernini che sostiene un piccolo obelisco in piazza Santa Maria sopra Minerva, un’icona artistica di Roma ma anche un silenzioso e struggente testimone della sua “terra”. L’unione tra l’elefante e l’obelisco assume un grande significato simbolico. L’obelisco rappresenta la saggezza antica, mentre l’elefante, il più forte degli animali, è il simbolo della pietà, dell’intelligenza e dell’equilibrio della mente, della memoria. Quale risposta, quale segno aspetta Adua da queste “Laabo dhgah”: queste due pietre.

 

 

 

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista