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Parla Daniela Cattani Rusich, nella giuria del premio Città di Latina: “Il cammino delle donne, una disumana fatica”.

 

di Cora Craus –

Per “Domande a margine” … risponde Daniela Cattani Rusich, attesissima presenza nella giuria del premio internazionale di poesia “Città di Latina”.

Il Profilo: Daniela Cattani Rusich è poetessa, scrittrice, giornalista. Direttore artistico ed editor della Onirica Edizioni. Realizza video poesie. Ha pubblicato racconti, poesie, fiabe per diverse case editrici. Le sue pubblicazioni: la silloge “Rendimi l’anima”, il romanzo corale “Malta femmina”, la raccolta di poesia “Segreta”, il romanzo “C’è Nessuno”. Molti i riconoscimenti ed i premi letterari al suo attivo: Vincitrice al XVI concorso internazionale, patrocinato dalla Presidenza della Repubblica, “Them Romano”, con il racconto “Porrajmos – l’olocausto zingaro”. Vincitrice del premio “Un monte di poesia”. Finalista al concorso nazionale “Poetando”, finalista al “Premio Massa città fiabesca di mare e di marmo”, finalista al premio “Accademia Alfieri di Firenze”.

Daniela, tu scrivi davvero a tutto campo, c’è differenza, un diverso impegno tra scrivere di narrativa o di poesia?

Per me sì, una bella differenza. Sono due modalità quasi agli antipodi. L’una più razionale, pensata, organizzata; l’altra più spontanea, istintiva, mobile. Attenzione però: la poesia non è puro istinto, non è scrivere pensierini romantici. La poesia è pensiero ma anche linguaggio e come il linguaggio si evolve, sta al passo coi tempi. Purtroppo oggi c’è confusione, soprattutto sui social, si fa molta fatica a capire cosa sia poesia e cosa no.

Hai già in progetto il tuo prossimo libro?

Di progetti cartacei ne ho almeno tre o quattro, che vagano da un po’! Sto concludendo un testo teatrale, ma è strutturato in modo che sia leggibile come un romanzo: è ironico, surreale, un po’ beckettiano. Un altro romanzo breve, sullo stile di “C’è Nessuno?”, quindi sensibile e divertente al tempo stesso Una fiaba illustrata, i cui ricavati andranno esclusivamente in beneficenza, e poi continuo a scrivere poesie, perciò – prima poi – salterà fuori una quarta silloge…

Chi legge per primo il tuo manoscritto? Io, almeno un centinaio di volte. Poi lo invio a un paio di persone e aspetto il loro “responso”. Due persone molto speciali: Alberto Figliolia, scrittore, poeta e giornalista, e Barbara Carniti, la secondogenita di Alda Merini.

Quando inizi a scrivere un libro segui dei riti particolari

Sono molto indisciplinata, non ci riuscirei mai. Spreco i miei doni, scrivendo senza ritegno come e quando più mi aggrada, così ho tempi un po’ lunghi.

Cos’è per te scrivere?

Un modo per sopravvivere: la mia vita è stata dolorosa e piena di traumi. Una violenza sessuale: un’allucinazione, un mostro, un incubo da non augurare nemmeno al peggior nemico. Ne parlo, nella speranza di essere d’aiuto alle tante, troppe donne vittime di tale infamia.

Alcune tue composizioni sono pervase da simboli potenti: fiori, colori, numeri. Cos’è per te la forza del simbolo?

E’ una prerogativa dell’arte e anche della magia, se ci pensi. E l‘arte in fondo è magia. Il simbolo è uno strumento per identificarne l’essenza.

C’è una poesia, o delle poesie, che è per così dire porti “incisa sulla pelle”?

Soprattutto alcuni versi. Potrei citarti, dalla mia ultima raccolta “Arché”, “Immortale”, o “Sul taglio della notte” perché raccontano la perdita dell’innocenza, la crescita, il momento in cui cade il velo e scopri te stesso, la tua coscienza, la tua anima.

 

Quali sono gli insegnamenti più preziosi ricevuti nella tua vita e da chi?

La vita stessa mi ha dato tante di quelle batoste, ops… lezioni, che non ci sarebbe bisogno d’altro. Però, se devo far riferimento a una persona, sicuramente mio padre: colui che mi ha fatta soffrire di più e da cui ho imparato e avuto di più.

In questo momento di forte crisi dei valori che attanaglia la società vedi il concreto pericolo di paurosi passi indietro per la donna?   In tutte le epoche, la donna ha sempre dovuto fare dieci passi quando l’uomo ne faceva uno (e quando glielo lasciavano fare, tra l’altro). Una fatica disumana quella del cammino delle donne, che purtroppo non vedo molto dissimile rispetto a un tempo. Ci siamo mangiate il frutto dell’albero della conoscenza e per questo ci hanno sbattute fuori dall’Eden: ne paghiamo ancora le conseguenze.

Ringraziamo la nostra ospite. Ricordando che sia della silloge “Archè” sia del romanzo “C’è Nessuno”, ne abbiamo parlato diffusamente su Esseredonna –Magazine.

 

 

 

 

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Cora Craus

Giornalista