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Lisario o il piacere infinito delle donne di Antonella Cilento

di Cora Craus –

Il libro della Cilento narra – a tratti in modo viscerale, a tratti in maniera distaccata, quasi da entomologo – una realtà drammatica e spietata della vita delle donne, dell’omosessualità, dell’arte e della politica del seicento napoletano.                      Un quadro, un affresco che a ben guardare mostra terribili similitudini con l’amara storicità di oggi, vedi Mafia Capitale – Mondo di Mezzo.

Leggiamone un brano: “E intanto il Viceré comprava traditori che uccidessero il Generale screditato, mentre lui faceva la sua bella figura generosa ospitando nelle stanze del Palazzo, le femmine del Lavinaio vestite a festa, la moglie di Masaniello, che presto avrebbero chiamato con disprezzo “ a Duchessa d’ ‘e sarde”, la sorella, le cognate e tutto il puttanaio innocente trasformato in corte. Lazzari a Palazzo, cucinati a dovere dalla politica”. Perché cambiano le epoche, le latitudini ma la brutta politica, la politica senza etica, senza Idea è sempre uguale a se stessa: “perché è così che si governa: agli amici piccoli favori, ai nemici strade d’oro”.

Nelle pagine di “Lisario o il piacere infinito delle donne” Ed. Mondadori – pag.298 – € 17,50) di Antonella Cilento, prende vita una Napoli barocca sotto la cupa dominazione spagnola dove si fronteggiano l’intensa, ottusa e superstiziosa devozione del cattolicesimo spagnolo e l’ironico cinismo di una Napoli conquistata, affamata, derisa eppure mai veramente piegata, sottomessa. Napoli rimane una città vitale, libera che cova dentro di sé la ribellione, il rifiuto di considerarsi asservita. In questo humus storico si srotola il romanzo di Antonella Cilento. Un romanzo volutamente “apparentato”, nel linguaggio e nello stile, con i romanzi epici e picareschi dove i personaggi si confondono: i finti saggi sono in realtà del tutto folli e i conclamati pazzi hanno in loro una vena di saggezza. E così nelle pagine, “fra capopopoli, assassini, ermafroditi, pirati, mercenari del sesso e del potere, donne mutate in statue”, si stacca viva, nelle pennellate di parole, la condizione della donna raffigurata, incarnata dalla protagonista del libro: Belisaria Morales ovvero la Lisario del titolo. L’ambientazione, il seicento napoletano, è un arricchimento alla narrazione perché l’essenza della storia non conosce né epoche né latitudini.

Leggiamo in quarta di copertina, o meglio nei risvolti di copertina, “ Lisario Morales è muta a causa di un maldestro intervento chirurgico, ma legge di nascosto Cervantes e scrive lettere alla Madonna. È poco più di una bambina quando le propongono per la prima volta il matrimonio. Per sottrarsi a quest’obbligo cade addormentata. Quando non può sottrarsi alla violenza degli adulti, infatti, Lisario dorme…”

Capitolo dopo capitolo, la storia viene suggellata, quasi sia il ripetersi di un testamento, con le lettere che Lisario Morales scrive di nascosto: “alla Signora Santissima della Corona delle sette Spine Immacolata Assunta e Sempre Vergine Maria”. Lettere depositarie e ineluttabili testimoni delle sue confidenze, delle sue paure, delle sue attese, delle sue speranze. Custodi della sua storia di bambina, giovinetta, donna che si dipana in racconti di amore e violenza, di speranza e coraggio, di poesia e tenerezza.

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista